È bizzarra questa Formula 1: 19 Gran Premi alle spalle, più di 5.700 chilometri coperti da una banda di scalmanati a medie da capogiro, e tutto si deciderà negli ultimi 300 km di ondulazioni piene di trabocchetti del circuito di Interlagos, periferia di San Paolo del Brasile. Questo per aggiudicare il titolo Piloti: quello Costruttori è saldamente in tasca dalla Red Bull, e per il terzo anno di fila. Un dato che si commenta da sé e che rende merito al progetto a lunga gittata del bibitaro austriaco Dieter Mateschitz (nel 2004 la Red Bull si chiamava Jaguar, e nonostante il blasone il suo bilancio nei Gran Premi era stato prossimo allo zero) e al suo gruppo di lavoro, con accento soprattutto sul genio tecnico Adrian Newey che il suo eccezionale valore aveva già dimostrato in team quali Leyton House, Williams, McLaren. E che la stessa Ferrari, fra parentesi, fece quasi carte false per assicurarsi, sbattendo il muso contro la resistenza del tecnico inglese e della sua famiglia, troppo affezionati alle tradizioni di Oltremanica.
Sul come mai una competizione lunga e marchiata a fuoco dal peso specifico superiore di una Red Bull sia arrivata all’ultima puntata per assegnare il titolo più pregiato, il punto è chiarissimo. A inizio campionato, la Red Bull non era superiore, contraddicendo una tradizione chiara nelle due passate stagioni. Merito o colpa di alcuni cambiamenti regolamentari che le avevano spuntato alcune delle armi migliori del biennio2010-2011. Poi il recupero, passato per un’autentica re-interpretazione della monoposto effettuata di gara in gara. E non senza alcuni problemi di affidabilità tecnica incolpabili più al motorista Renault (il famoso alternatore…) che al team, si è arrivati al dominio eclatante messo in pista da fine settembre in poi, con Sebastian Vettel vincitore di GP a raffica come per almeno la prima metà di stagione il Mondiale non aveva mai autorizzato.
A fine settembre, però, in vetta al campionato c’era Fernando Alonso. La cui Ferrari chiaramente non era, e non è, la monoposto migliore dell’anno. Aveva migliorato tantissimo, nel periodo maggio-giugno, arrivando a collezionare la terza vittoria il 22 luglio in Germania, forse il successo più chiaro (ovvero: senza il concorso pioggia o sfortune o errori altrui) della stagione rossa. Da lì, però, lo sviluppo della F2012 si è come imbalsamato. E a poco sono valsi gli sforzi di ottobre, con il team di Maranello nuovamente a testa bassa in galleria del vento (di qualcun altro, perché quella del Cavallino pare obsoleta) e in officina. Ma particolarmente nelle gare in Oriente fra fine settembre e fine ottobre, la Ferrari e Alonso sono scivolati sempre più in basso in termini di prestazione assoluta. Dato, questo, esaltato in qualifica, dove il campione spagnolo ha sofferto sempre di più e con la curiosa concomitanza di un recupero, invece, del compagno Felipe Massa che dopo oltre due anni in ombra anche imbarazzante è tornato recente a valori di livello.
Ma ora siamo a oggi. Siamo a Interlagos, GP del Brasile, in pista sabato ore 17 per una sessione di qualifica particolarmente importante e domenica alla stessa ora per la gara che assegnerà il 63° titolo Piloti della storia iridata. Vettel o Alonso? Matematica, dati tecnici, calcolo delle probabilità e perfino la cabala orientano la risposta verso il campioncino tedesco: più giovane campione del mondo della storia (2010, quando strappò questo particolare scettro a Lewis Hamilton che due anni prima l’aveva sfilato proprio ad Alonso) e oggi a un passo dal diventare il più giovane tri-campione di sempre, oscurando la fama di gente quale Fangio e Stewart, Brabham e Lauda, Piquet e Prost e Senna… Tutto per ribadire che Vettel non è uno qualsiasi; ma non lo è neppure Alonso, che quest’anno ha fatto, letteralmente, i miracoli. La sua Ferrari, come ampiamente detto, è un passo indietro. Ma lui non ha mai sbagliato niente, ha sempre spremuto il 101% di una monoposto a volte in debito di fiato riuscendo nel contempo a motivare al massimo un team tornato quest’anno a livelli di eccellenza per strategia, tattica, reattività e precisione.
Tutto questo, però, a Interlagos potrebbe non bastare. Perché arrivando almeno quarto Vettel sarà campione comunque, qualsiasi sarà la prestazione di Alonso. E non si vede come questo obiettivo possa sfuggirgli, a meno di concomitanze esterne quali errori macroscopici, suoi o del team, o eventi epocali a livello meteo. In questo settore, però, potrebbero esserci quelle piogge che in Brasile hanno già regalato, in passato, scenari apocalittici, fucine di errori irrimediabili quasi a ogni curva, a ogni frenata. Le previsioni, anzi, parlano per domenica proprio di rovesci, che da quelle parti si trasformano facilmente in nubifragi. E proprio per questa caratteristica di Interlagos in autunno avanzato (quasi estate australe) l’ultima recita di campionato ha già regalato capovolgimenti di scena di questo tipo…