A livello nazionale, il Decreto Cura Italia (Dl 17 marzo 2020, n. 18) è intervenuto con una serie di articoli in favore dell’export e dell’internazionalizzazione. Tra le misure più importanti per le imprese esportatrici c’è l’istituzione del Fondo per la Promozione Integrata, con una dotazione iniziale di 150 milioni di euro per l’anno 2020, per la realizzazione delle seguenti iniziative:
- realizzazione di una campagna straordinaria di comunicazione a sostegno delle esportazioni italiane e l’internazionalizzazione del sistema economico nazionale nel settore agroalimentare e negli altri settori colpiti dall’emergenza derivante dalla diffusione del Covid-19;
- potenziamento delle attività di promozione del Sistema Paese;
- cofinanziamento di iniziative di promozione dirette a mercati esteri;
- concessione di cofinanziamenti a fondo perduto fino al cinquanta per cento dei finanziamenti. I cofinanziamenti sono concessi nei limiti e alle condizioni previsti dalla vigente normativa europea in materia di aiuti di Stato di importanza minore;
- la sospensione al pagamento di diritti doganali;
- supporto alla liquidità delle imprese che non accedono al Fondo di Garanzia per le PMI – i settori agevolabili ai sensi del presente articolo saranno individuati con apposito decreto ministeriale;
- per i finanziamenti agevolati concessi per l’internazionalizzazione ai sensi del Fondo 394/81-SIMEST, può essere disposta una sospensione fino a 12 mesi del pagamento della quota capitale e degli interessi delle rate in scadenza nel corso dell’anno 2020, con conseguente traslazione del piano di ammortamento per un periodo corrispondente.
A queste misure contenute vanno aggiunti:
- il nuovo catalogo servizi erogati dall’Istituto Commercio Estero, di cui molti gratuiti per le imprese richiedenti;
- la produzione e la fornitura di dispositivi medici e di dispositivi di protezione individuale (DPI) per il contenimento e il contrasto dell’emergenza epidemiologica COVID-19 – la dotazione finanziaria è di 50 milioni di euro.
A livello europeo, i Ministri delle Finanze dell’Eurogruppo hanno raggiunto un compromesso: un pacchetto di misure comuni per l’emergenza coronavirus di oltre 500 miliardi di euro, cui nei prossimi mesi se ne potrebbe aggiungere un altro per un ammontare che complessivamente dovrebbe superare i 1.000 mld. Trattandosi di un compromesso, le parti in disaccordo hanno dovuto cedere sulle proprie richieste iniziali. L’Italia e gli altri paesi del sud dell’Eurozona chiedevano a gran voce l’emissione di eurobonds, magari nell’ambito della proposta francese del Recovery Plan. I paesi del Nord con a capo Germania e Olanda si dichiaravano aperti solo all’utilizzo del Fondo salva-stati (MES), ma alle condizioni previste dal Fondo stesso. Infine la Commissione Europea metteva sul tavolo il proprio progetto (SURE) per ridurre gli effetti sulla disoccupazione. Ecco allora che i tre strumenti approvati dai ministri delle Finanze sono il MES, la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) e il SURE.
Il cosiddetto Fondo Salva-Stati era stato creato durante la scorsa crisi finanziaria per concedere prestiti a quegli stati che non riuscivano a finanziarsi sui mercati, o vi riuscivano solo a costi altissimi. Negli anni scorsi il MES ha già concesso prestiti a Cipro (6,3 miliardi), Grecia (61,9 mld) e Spagna (41,3 mld) ma a fronte di una rigida condizionalità. Ciò significa che chi riceve i prestiti si obbliga ad approvare un memorandum d’intesa che definisce con rigorosa precisione quali misure si impegna a prendere, soprattutto in termini di tagli al deficit/debito e di riforme strutturali. Su questo punto insistevano olandesi e tedeschi, mentre i paesi del Sud sottolineavano infatti la natura sostanzialmente diversa della crisi odierna rispetto a quella per cui il MES e i suoi vincoli erano stati creati. Il compromesso prevede che i paesi europei possano chiedere prestiti al MES, a tassi ben più bassi di quelli di mercato e con scadenze piuttosto lunghe, per un ammontare complessivo che non potrà superare i 240 mld. Ciascun paese non potrà accedere a crediti per un importo superiore al 2% del Pil: per l’Italia significa che non ci si potrà spingere oltre i 36 miliardi. Il patto implica un utilizzo delle linee di credito precauzionali (ECCL) alla sola condizione di destinarlo a spese sanitarie e di prevenzione legate al coronavirus. Viene posto anche un limite temporale: si potrà accedere al MES con queste modalità solo fino alla durata dell’emergenza. Se lo si fa successivamente verranno ripristinate le condizioni più severe.
Il secondo strumento su cui i ministri si sono trovati d’accordo è il SURE (Support to mitigate Unemployment Risks in Emergency) fortemente voluto e già preannunciato nei giorni scorsi dalla presidente Von der Leyen memore della sua precedente carica di Ministro del Lavoro della Germania. Questo meccanismo potrà sbloccare fino a 100 mld per integrare tanto la cassa integrazione italiana tanto il Kurzarbeit in Germania. Per farlo gli Stati membri dovranno fornire garanzie nazionali fino a 25 mld che serviranno alla Commissione per emettere bond AAA girati ai paesi membri tramite prestiti a lungo termine. Seppur per un ammontare limitato, si tratta già di una prima forma di eurobond con una mutualizzazione del relativo debito: un precedente da non sottovalutare.
Altri 200 mld potranno infine arrivare alle imprese sotto forma di prestiti concessi dalla Banca Europea per gli investimenti (BEI) attraverso l’attivazione di un Fondo di garanzia pari a 25 mld che permetterà alla BEI di reperire sui mercati fino a 200 mld da tramutare poi in prestiti agevolati alle imprese con un occhio di riguardo alle PMI.
A giudizio degli analisti ISPI, se questo accordo è il massimo che i governi nazionali riusciranno a fare in comune, non potrà che risultare inadeguato rispetto alla portata delle sfide. Se dovesse invece rappresentare una tappa intermedia verso un vero e proprio Recovery Plan, allora il giudizio sarebbe positivo: finalmente l’attuazione in chiave solidaristica di un primo pacchetto di misure urgenti per affrontare l’emergenza.