Secondo i dati Istat analizzati da Coldiretti, in occasione di Cibus, più di 1 impresa agricola su 10 (11%) è in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività. E circa un terzo del totale nazionale (30%) si trova comunque costretta in questo momento a lavorare in una condizione di reddito negativo per effetto dell’aumento dei costi di produzione. I rincari interessano gli acquisti di concimi, imballaggi, gasolio, attrezzi e macchinari che stanno mettendo in crisi i bilanci. Riporta Coldiretti nell’indagine La guerra nel piatto “si registrano aumenti dei costi che vanno dal +170% dei concimi al +90% dei mangimi, al +129% per il gasolio con incrementi dei costi correnti di oltre 15.700 euro in media, ma con punte oltre 47.000 euro per le stalle da latte e picchi fino a 99.000 euro per gli allevamenti di polli. L’impatto dell’impennata dei costi per l’insieme delle aziende agricole supera i 9 miliardi di euro”.
Le difficoltà arrivano dagli aumenti dei prezzi “non programmabili”
In difficoltà è l’intera filiera che si è trovata a fronteggiare aumenti unilaterali da parte dei fornitori di imballaggi come il vetro, che costa oltre il 30% in più rispetto al 2021, ma si registra un incremento del 15% per il tetrapack, del 35% per le etichette, del 45% per il cartone, del 60% per i barattoli di banda stagnata, fino ad arrivare al 70% per la plastica. “Ma i prezzi degli ordini cambiano ormai di settimana in settimana, rendendo peraltro impossibile una normale programmazione economica nei costi aziendali.
Rincarato anche il trasporto su gomma del 25% al quale si aggiunge la preoccupante situazione dei costi di container e noli marittimi, con aumenti che vanno dal 400% al 1000%. In generale, secondo il global index Freightos, importante indice nel mercato delle spedizioni, l’attuale quotazione di un container è pari a 9.700 dollari contro 1.400 dollari di un anno fa”. La produzione agricola e quella alimentare in Italia assorbono oltre il 11% dei consumi energetici industriali totali per circa 13,3 milioni di tonnellate di petrolio equivalenti (Mtep) all’anno. “Nel sistema agricolo i consumi diretti di energia includono i combustibili per trattori, serre e i trasporti mentre i consumi indiretti ci sono quelli che derivano da fitosanitari, fertilizzanti e impiego di materiali come la plastica (4,7 Mtep)”.
Le buone notizie, almeno fino all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e allo scoppio della guerra, sono arrivate soprattutto dall’estero. Le esportazioni alimentari nazionali, a gennaio e febbraio 2022, sono in aumento del 21,6% sul record annuale di 52 miliardi fatto registrare nel 2021, con la Germania principale mercato di sbocco in aumento, nel bimestre dell’11,1%, mentre gli USA si classificano al secondo posto con una crescita del 21,9% e la Francia a seguire con +17,9%. Un vero boom si è verificato nel Regno Unito con un +39,5% nonostante la Brexit ma pesa il crollo del 29,5% in Cina dovuto probabilmente alle prolungate restrizioni della pandemia.
L’export agroalimentare italiano tra crescita e crisi
L’export del nostro Paese, ribadisce Confagricoltura, è ripartito nel 2021, e lo stesso ha fatto l’agroalimentare, che ha registrato una crescita del +14,7% sul 2019. A confermare le performance all’estero, oltre al dato del vino che, dopo il record di oltre 7 miliardi di euro esportati nel 2021, è partito, a gennaio, con un +22% sullo stesso periodo dello scorso anno, anche quello del parmigiano reggiano.
Secondo i dati del consorzio, dopo un giro d’affari record lo scorso anno, pari a 2,7 miliari di euro, il primo trimestre 2022 hanno registrato un incremento delle vendite totali pari al 3,6% (33.341 tonnellate), trascinato dai mercati internazionali che crescono del 6,9% (14.546 tonnellate). Stabili le vendite nel mercato italiano, grazie alla crescita del canale della ristorazione, che compensa il lieve calo dei consumi domestici.
Ribadisce Coldiretti: “il cibo è diventato la prima ricchezza dell’Italia per un valore di 575 miliardi di euro nel 2021, con un aumento del 7% rispetto all’anno precedente nonostante le difficoltà legate alla pandemia”. Il Made in Italy a tavola, dunque, vale oggi quasi un quarto del Pil nazionale e, dal campo alla tavola, vede impegnati ben 4 milioni di lavoratori in 740.000 imprese agricole, 70.000 industrie alimentari, oltre 330.000 realtà della ristorazione e 230.000 punti vendita al dettaglio. Il Belpaese è il primo produttore Ue di riso, grano duro e vino e di molte verdure e ortaggi tipici della dieta mediterranea come pomodori, melanzane, carciofi, cicoria fresca, indivie, sedano e finocchi. E anche per quanto riguarda la frutta primeggia in molte produzioni importanti: dalle mele e pere fresche, dalle ciliegie alle uve da tavola, dai kiwi alle nocciole fino alle castagne.
L’Italia però è anche un Paese deficitario che importa addirittura il 64% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti, ed il 53% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame. Diventa allora quanto mai necessario investire per aumentare la produzione e le rese dei terreni sostenendo la ricerca e l’innovazione tecnologica a supporto delle produzioni, della tutela della biodiversità e come strumento in risposta ai cambiamenti climatici.