Sono visite costose- ben auguranti, certo- quelle che si svolgono in questi giorni all’ex Ilva di Taranto. Potenziali futuri acquirenti stanno studiando lo storico stabilimento per organizzare l’ennesimo rilancio. Vulcan Green Steel, azienda del colosso Jindal e Steel Mont sono stati le prime aziende ad affrontare la realtà pugliese, chissà quanto consapevoli della spesa da sostenere per non chiudere definitivamente l’impianto.
Il futuro della siderurgia italiana è ormai concentrato a Taranto e a seguire nei prossimi giorni ci sarà anche la visita dei manager del gruppo ucraino Metinvest. Per ora l’interesse per l’ex Ilva sembra solo straniero, anche se non mancano voci su una possibile valutazione da parte dell’italiana Arvedi. Il gruppo Metinvest, tuttavia, sembrerebbe la soluzione più aderente alle aspettative di lavoratori e sindacati (in parte). I costi più incisivi per il rilancio di Taranto riguardano sempre il piano ambientale. In campagna elettorale se n’è parlato talmente poco che si può dedurre che il destino di Taranto metta così spavento che i ministri Urso e Pichetto Fratin ripetono le stesse cose di tre mesi fa. Eppure c’è un bacino elettorale di migliaia di voti e il prossimo Parlamento europeo si troverà la questione taranto sul tavolo.
Impianto super osservato per la salute
Tra i possibili acquirenti, Metinvest ha già una specie di credenziale italiana, in quanto è impegnata a investire 2 miliardi di euro in un sito green a Piombino. La decarbonizzazione di Taranto continua a essere declamata dal governo, ma trovare un partner prima di luglio, come aveva fatto intendere Adolfo Urso, al momento, sembra difficile. Gli altiforni sono spenti mentre resta aperta la procedura per l’attivazione del prestito ponte di 320 milioni di euro. Gli impatti ambientali sono, intanto, tenuti sotto controllo dal nuovo Osservatorio permanente sulla salute. La struttura pubblicherà periodicamente i dati scientifici, ascolterà cittadini, associazioni e gli esperti dell’Istituto Superiore di Sanità.
È evidente che tutti i potenziali acquirenti dovranno tenere in considerazione gli aspetti emissivi della produzione di acciaio per non avere guai giudiziari come avvenuto con gli amministratori di Arcelor Mittal. Le possibilità di produrre acciaio senza danni all’ambiente e alla salute pubblica sono contenute in decine di documenti a fronte dei quali bisogna mettere molti milioni di euro. L’uscita dall’amministrazione straordinaria passa da qui. E quel che può accadere per l’occupazione, gli investimenti, l’export è uno scenario oggi immaginabile a metà.
I commissari straordinari – Giancarlo Quaranta, Giovanni Fiori e Davide Tabarelli – lo hanno detto ai sindacati che non sono convinti della bontà dell’ultimo piano industriale. La produzione è al minimo e nella difficile ricerca di un nuovo soggetto industriale i sindacati si sentono più garantiti dalla presenza dello Stato. L’Italia è ancora il secondo produttore di acciaio in Europa, tuttavia senza uno scatto imprenditoriale, anche politico (i soldi che ci mette lo Stato) senza nuove tecnologie e fonti energetiche a basso impatto, l’impianto resta esposto a rischi sanitari, sequestri, contestazioni, avvisi di garanzia. Una partita che il governo può perdere a tavolino.