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Ex Ilva: se non c’è accordo ci sarà il commissario. Urso: “Intervento drastico”. Chi sono gli altri possibili pretendenti?

Imagoeconomica

Stasera, in occasione dell’incontro con i sindacati, (alle 19) il governo dovrà mettere un punto e comunicare come intende proseguire dopo lo scontro con il socio privato di Acciaierie d’Italia, ArcelorMittal, di lunedì. Le alternative non sono migliaia: o si rientra in qualche modo al tavolo con gli indiani, o si trova un altro partner (ma non c’è la fila fuori) oppure si va all’amministrazione straordinaria, ipotesi che il governo ha messo in campo e che appare come unica via di uscita in mancanza di un accordo. Alternativa che pure esiste: si tratta della cosiddetta composizione negoziata prevista dal nuovo codice della crisi di impresa.

Urso: “Urgenza di un intervento drastico e di un cambio di equipaggio”

Mentre nelle ultime ore sono continuati i confronti tra i legali di Invitalia (socio pubblico con il 38% del capitale) e di ArcelorMittal (62%), si susseguono le dichiarazioni. Stamane il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso con una informativa in Senato ha sottolineato “l’urgenza di un intervento drastico che segni una svolta netta rispetto alle vicende per nulla esaltanti degli ultimi 10 anni”, ha detto. E poi ha precisato: “Nulla di quello che era stato programmato e concordato è stato realizzato. Nulla è stato mantenuto in merito agli impegni occupazionali e al rilancio industriale”.

Sull’ ex Ilva “intendiamo invertire la rotta cambiando equipaggio. Ci impegniamo a ricostruire l’ex Ilva competitiva sulla tecnologia green su cui già sono impegnate le acciaierie italiane, prime in Europa”, ha poi garantito il ministro. “L’impianto è in una situazione di grave crisi. Nel 2023 la produzione si attesterà a meno di 3 milioni di tonnellate, come nel 2022, ben sotto l’obiettivo minimo che avrebbe dovuto essere di 4 milioni, per poi quest’anno risalire a 5 milioni”.

Orlando: “C’era un miliardo stanziato dal governo Draghi”

“Era stato stanziato dal governo Draghi un miliardo” ha detto il deputato Pd ed ex ministro del Lavoro, Andrea Orlando, come riporta l’agenzia Dire. “Ricordo bene anche le valutazioni del ministro Giorgetti e del ministro Franco, perché c’era una crescente diffidenza, aggiunge l’esponente dem – nei confronti degli investitori indiani. Una diffidenza che si è rivelata nei mesi successivi sempre più giustificata. Si fece quell’investimento per consentire un cambio di equilibrio di capitale e quindi anche nella governance, ma quei soldi sono stati presi e utilizzati per pagare le bollette di Acciaierie d’Italia. In pratica, il governo Meloni si è trovato sul tavolo un miliardo che avrebbe consentito di rivedere gli equilibri interni al capitale, ma quei soldi sono stati utilizzati per la spesa corrente, senza particolari garanzie da parte di ArcelorMittal”.

Altri soci possibili in alternativa a alternativi ad ArcelorMittal

Trovare altri soci e capitali, non è cosa facile, vista la difficoltà a esporsi in questo momento di incertezza. Secondo indiscrezioni di stampa le strade percorribili potrebbero portare a Vulcan Green Steel, Metinvest oppure Arvedi, che al momento preferisce non commentare. Tuttavia, assicura il presidente di Federacciai, Tonino Gozzi, i privati “sono pronti a fare la loro parte nel rilancio dell’ex Ilva, ma solo se ci sono determinate condizioni. Serve – afferma – un’operazione verità sui conti, sui patti parasociali con Mittal e sullo stato dei macchinari. E poi occorre certezza su piano finanziario e industriale”.

I nodi da sciogliere

La situazione è nota: l’azienda ha necessità di un aumento di capitale immediato da 320 milioni e poi di almeno un altro miliardo per rilevare gli impianti da Ilva in amministrazione straordinaria entro maggio. ArcelorMittal non vuole iniettare nuove risorse perché sottolinea di aver “già investito 1.870 milioni di euro in equity oltre a più di 200 milioni per acquisto di materie prime e altre garanzie commerciali” mentre “lo Stato italiano ha investito fino ad ora 1.080 milioni”. Invitalia sarebbe anche disposta a sottoscrivere per intero l’aumento di capitale da 320 milioni – arrivando così al 66% del capitale grazie anche alla conversione del prestito di un anno fa di 680 milioni – ma solo a patto di un cambiamento di governance che ArcelorMittal non vuole concedere perché è già paritetica e ritiene si debba mantenere “lo status di controllo al 50% anche a pesi azionari invertiti”

L’elefante nel salotto buono: il commissariamento

Tutti fanno finta di non vederla, ma l’ipotesi di un commissariamento potrebbe essere a un passo. Martedì anche il sottosegretario al Mimit Massimo Bitonci l’ha indicata come la soluzione più probabile e lo stesso Urso l’ha incata come possibile al presidente di Confindustria Taranto Salvatore Toma in un incontro informale. “L’ipotesi dell’amministrazione straordinaria – ha sottolineato Toma – purtroppo non è esclusa anche se il ministro ha detto che, nel caso, sarà momentanea, 6 mesi o al massimo 12, per traghettare lo Stato verso la maggioranza. Abbiamo ribadito che è essenziale salvaguardare le fatture delle aziende dell’indotto per i lavori già svolti”. L’amministrazione straordinaria spaventa il territorio. Spera di evitarla anche Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, che dal governo si aspetta “un’assunzione di responsabilità adeguata alla gravità della situazione”.

Si chiudono anche i rubinetti finanziari: Banca Ifis si sfila

Quando le cose si mettono male c’è chi per primo molla il colpo: le banche, che hanno iniziato a chiudere i rubinetti dei prestiti e degli affidamenti. Ha iniziato a metterlo per iscritto Banca Ifis, ma secondo alcune voci a Taranto altre banche starebbero per fare la stessa cosa: con una lettera indirizzata ad Adi spa e ad ai suoi vari fornitori ieri, la banca ha revocato il plafond pro soluto. In pratica da questa settimana le fatture destinate ad Adi, da mesi in evidente affanno coi pagamenti, non verranno più scontate da Banca Ifis.

Per un gruppo col fatturato in caduta libera e perdite stimate in 60-80 milioni di euro al mese, è un altro problema che si aggiunge a quello dell’esigenza di un’iniezione di capitali freschi per evitare che l’intero indotto di Taranto collassi. “In data 9 gennaio 2024” riporta La Stampa “Banca Ifis ha preso atto della comunicazione diffusa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 8 gennaio 2024 nella quale si rende nota l’”indisponibilità” di ArcelorMittal di assumere impegni “finanziari e di investimento, nemmeno come socio di minoranza” di Acciaierie d’Italia. Pertanto, prosegue la lettera, “alla luce di questa comunicazione relativa al rischio di non continuità aziendale, la Banca comunica la revoca, con effetto immediato del plafond pro soluto da essa concesso sul debitore ceduto sopra indicato”.

Il risultato è che dalla ricezione di questa lettera “nessun ulteriore credito, rispetto a quelli la cui cessione sia stata perfezionata e resa efficace nei confronti del debitore ceduto, potrà ritenersi accolto in garanzia”.

L’inchiesta giudiziaria

In questo quadro, come se non bastasse, un’inchiesta giudiziaria avviata mesi fa ha ripreso vigore con il blitz dei carabinieri del Noe di Lecce nello stabilimento di Taranto per acquisire documentazione sui livelli emissivi degli impianti, mentre si attende la decisione del Tar Lombardia sulla fornitura del gas a rischio per il mancato pagamento delle bollette.

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