Condividi

Ex Ilva: è urgente garantire continuità produttiva e rimetterla in mani italiane. Il rilancio è difficile ma non impossibile

La storia dell’ex Ilva di Taranto dimostra che l’interesse dei soci privati indiani non era quello dello sviluppo ma della neutralizzazione dell’impianto. Ora il governo chiami gli industriali privati italiani, i sindacati e le banche a un tavolo per tracciare insieme le vie del rilancio

Ex Ilva: è urgente garantire continuità produttiva e rimetterla in mani italiane. Il rilancio è difficile ma non impossibile

La continuità produttiva degli stabilimenti dell’Ilva è la grande prova, impegnativa ma non impossibile, che sta di fronte al sistema industriale del Paese. Il degrado degli impianti più grandi d’Europa e la debolezza gestionale ormai misurata in tutti i suoi effetti non sono storia di oggi.

Si pensava che la fine ingloriosa dell’acciaio di Terni fosse una parentesi, un incidente, una distrazione… Basta rileggersi alcuni articoli critici, apparsi più volte su FIRSTonline, per capire che l’operazione con i due grandi player indiani, Mittal a Taranto e Jindal a Piombino, era l’inizio di un cammino che ha portato al disastro dell’oggi.

Sono stati bruciati nei forni dei due siti siderurgici decine e decine di miliardi. Si sono inseguite le latitanti strategie dei due imprenditori indiani senza comprendere il loro interesse principale: quello di favorire i loro consolidati interessi ormai diffusi nel nord Europa, le loro produzioni strategiche in patria e la conseguente penetrazione nel ricco mercato europeo con qualche tolleranza per l’aggressiva siderurgia turca tutta indirizzata a contrastare il mercato tradizionale dei privati italiani.

I nuovi padroni indiani si sono trovati ad essere affiancati al vertice da un inadeguato management italiano tutto di nomina governativa. Tutto questo ha portato il Paese al rischio di chiusura di un asset strategico per l’industria manifatturiera italiana. Questa considerazione e la ragione fondata della sua realtà obbligano a mettere in campo da subito ogni sforzo economico, organizzativo, strategico indirizzato a restituire rapidamente in mani italiane gli impianti dell’Ilva.

Ricordiamo che le bramme, i coils, gli acciai da costruzione e l’intera filiera della trasformazione a valle sono del tutto assenti nei carnet produttivi della siderurgia privata italiana. Solo Arvedi, a Cremona, con un processo da forno elettrico si e messo in quella lunghezza d’onda fatta di ricerca, qualità ed innovazione che ha sempre caratterizzato le produzioni pubbliche. Ma è piccola cosa per quantità, capacità produttiva, gamma di prodotti per far fronte e poter soddisfare la domanda dell’industria meccanica italiana e la salvaguardia dei mercati mediterranei.

Ora si misurerà la capacità e l’autorevolezza del governo italiano

Oggi con l’Ilva si misura la capacità e l’autorevolezza strategica del Governo, del Parlamento, dell’intero mondo imprenditoriale del Paese. L’Ilva va sottratta rapidamente al malgoverno dei Mittal e alle incertezze colpevoli degli italiani che hanno affiancato in questi lunghi anni, spesso in silenzio, il socio di maggioranza. Costi quel che costi! Si pagheranno fatiche ed impegni non solo in termini economici ma anche nei possibili risvolti giuridici alla base dei rapporti commerciali con i Mittal decisi sicuramente a resistere nella loro passiva gestione. Un fronte quest’ultimo (Tribunali, Corti di Giustizia, Lodi internazionali) che reclama fermezza e l’immagine di un Paese decisamente incardinato sulla sola difesa degli impianti e sul rilancio dell’acciaio italiano.

Non sarà un lavoro facile solo che si pensi alle tonnellate di carte da bollo, di avvisi di garanzia, di fermate coattive degli impianti spesi, in questi decenni, nei Tribunali di Taranto e altrove, e per contrastare le mobilitazioni verdi tutte a impegnate a rincorre un utopico dolce declino…. Nelle prossime settimane con le idee chiare bisognerà mettere in campo una strategia chiara e netta nella comunicazione dei progetti e degli impegni che attendono Taranto e la filiera. Progetti ed impegni che non possono e non devono essere messi in discussione dalle proteste del quartiere Tamburi (che va trasferito) o dalle manovre speculative sulle aree di Taranto, di Genova o di Trieste i cui porti dovranno restare saldamente collegati alle attività produttive e non dei semplici terminal per container cinesi.

Occorre il coinvolgimento di tutti i siderurgici italiani

Il ministro che ha nelle sue mani lo scottante dossier chiami, senza enfasi ma con decisione autorevole, tutti i siderurgici privati italiani (ormai poco meno di una decina) le cui produzioni non hanno motivi di concorrenzialità con il rilancio di Taranto e chieda loro esplicitamente un coinvolgimento di impegno, di idee nella gestione, non sulla base di capitali ma sulla base di esperienze organizzative e di mercato.

Occorre richiamare il sindacato e le istituzioni finanziarie

Cerchi di coinvolgere il sindacato in una azione di responsabilità collettiva nella difesa (oggi) del lavoro e nella prospettiva (a breve) di un consolidato rilancio. Chiami il sistema finanziario e bancario italiano ad una operazione di responsabile aiuto nel rientro dei prestiti scaduti e nella formazione di linee di credito competitivo per ritornare con forza sui mercati internazionali. Responsabilizzi nuove professionalità nei gangli vitali del ciclo integrale e nella filiera dell’Ilva valorizzando le figure più autorevoli e più credibili maturate nella vita di fabbrica e nell’esperienza del lavoro. Metta al vertice uomini e donne di solida personalità. Professionisti nel lavoro, in grado di mettersi in discussione tutti i giorni. Lasci perdere i lunghi curricula di quanti hanno calpestato soprattutto i corridoi dei potenti di turno ma non quelli dei reparti aziendali. L’opera di rilancio dell’Ilva è difficile ma non impossibile.

Commenta