Si cerca una soluzione al caos in cui versa l’ex Ilva di Taranto. Dopo la richiesta di recesso presentata da ArcelorMittal, il calendario sullo spegnimento degli altiforni e l’intervento delle Procure, con l’apertura di due inchieste a Taranto e Milano, il Governo si muove con circospezione, cercando da un lato di riaprire le trattative con l’azienda franco-indiana, dall’altro di trovare strade alternative per proteggere posti di lavoro (10.700 i dipendenti) e indotto, salvaguardando la capacità industriale del Paese.
Quattro le opzioni attualmente sul tavolo per provare a salvare l’acciaieria pugliese, ma il tempo stringe: secondo il cronoprogramma presentato da Arcelor ai sindacati, già dal 13 dicembre sarà spento il primo altoforno, mentre la chiusura definitiva è prevista a gennaio.
EX ILVA: TRATTATIVE CON ARCELORMITTAL
La soluzione primaria rimane quella di far restare ArcelorMittal. In attesa di una decisione del Tribunale di Milano sul recesso sia da parte dell’Esecutivo che da quella di ArcelorMittal potrebbe riemergere la volontà di trovare un accordo. Nel frattempo il giudice Claudio Marangoni, nel provvedimento in cui fissa la data dell’udienza al 27 novembre ha invitato Arcelor a “non porre in essere ulteriori iniziative e condotte in ipotesi pregiudizievoli per la piena operatività e funzionalità degli impianti, eventualmente differendo lo sviluppo di azioni già autonomamente prefigurate per il tempo necessario allo sviluppo del predetto procedimento”.
In vista della sentenza, è in stand by il programmato – e poi rinviato – incontro tra il premier Conte e il vertice dell’azienda siderurgica. Riaprire il dialogo con ArcelorMittal pare tuttavia impossibile senza un passo indietro del Governo, e del M5S soprattutto, sullo scudo penale. Non a caso, la cancellazione dell’immunità dal decreto crescita prima e dal decreto imprese poi, è stata indicata dall’azienda come la base principale su cui si fonda la richiesta di recesso. Qualsiasi tipo di negoziato tra le parti non potrà prescindere da una questione che ha tenuto in bilico sia il precedente Governo che il nuovo: se i penstatellati non cederanno sullo scudo o comunque non troveranno il modo di fornire qualche garanzia legale all’azienda per portare avanti il piano industriale e ambientale, ArcelorMittal se ne andrà.
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EX ILVA: COMMISSARI E PRESTITO PONTE
In un’intervista rilasciata a Radio Capital, il ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, delinea la strada da percorrere nel caso in cui ArcelorMittal andasse avanti per la sua strada, decidendo di andar via da Taranto: l’ex Ilva sarà rimessa in mano ai commissari con il varo di un prestito ponte da parte dello Stato.
Se Mittal non si assumerà le sue responsabilità, ha affermato Boccia a Circo Massimo, “c’è l’amministrazione straordinaria che ha salvato l’Ilva dal crack dei Riva, con un prestito ponte e con l’obiettivo di riportare entro uno-due anni, come previsto dalla legge, l’azienda sul mercato. Se fosse necessario lo rifaremo senza alcun problema. Alternativa non c’è”.
EX ILVA: CDP IN CAMPO?
L’intervento diretto dello Stato, così come il possibile accordo con ArcerlorMittal, potrebbe però non essere così semplice da realizzare. Per questo motivo, come accade spesso in situazioni come queste (era già successo per Alitalia) spunta il “jolly Cdp”. L’ipotesi sarebbe quella di far entrare Cassa Depositi nel capitale di Am Investco Italy, la società del gruppo franco-indiano che gestisce gli ex impianti Ilva, fornendole dunque l’appoggio di un supersocio pubblico in grado di dare garanzie solide e concrete. In questa ipotesi, i soci indiani resterebbero con una quota di rilevo. Bisogna però sottolineare che Cdp, per statuto, non può effettuare investimenti “rischiosi”, avendo mandato di proteggere il risparmio postale. Una condizione che le Fondazioni intendono rispettare con rigore, tant’è che hanno già fatto trapelare la loro contrarietà a un possibile intervento nel caos Ilva.
E’ prudente sull’intervento di Cdp anche il Premier Giuseppe Conte che nell’ambito della cerimonia per i 170 anni di Cassa Depositi e Prestiti ha affermato: “Il governo non intende guardare alla Cassa come a uno strumento per risolvere questioni meramente contingenti nel breve periodo, ma vuole assumere una prospettiva di lungo periodo, identificano direttrici per aprire il Paese a nuovi mercati e implementare lo sviluppo tecnologico e digitale”.
EX ILVA: IL SOCIO CINESE
L’altra ipotesi sul tavolo potrebbe portare fino in Cina, direttamente al colosso Jingye. Secondo quanto riferito dal Sole 24 Ore, il Governo dovrebbe incontrare nei prossimi giorni i consulenti di Ernest & Young, che in passato hanno lavorato all’operazione tramite la quale il gruppo cinese ha rilevato le acciaierie British Steel, che lo scorso maggio aveva avviato una procedura di bancarotta, dopo il fallimento delle trattative tra il governo britannico il fondo investimenti Greybull, che aveva rilevato la società nel 2016. A favorire l’affare potrebbe contribuire anche l’ottimo clima instauratosi tra Italia e Cina dopo l’adesione da parte del nostro paese alla via della Seta.
SINDACATI DA MATTARELLA
Nella serata del 18 novembre i sindacati saliranno al Quirinale per incontrare il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ed esporgli le loro preoccupazioni sui rischi occupazionali che la situazione sta comportando. L’incontro è previsto per le 19.30.