Se è lecita un’analogia fra la strana guerra in Ukraina ed altri eventi storici, non va ricercata nel precedente di Danzica, come vorrebbero il polacco Tusk e i suoi corifei baltici, ma, negli inestricabili nodi politici che trascinarono le grandi potenze nel primo conflitto mondiale. Se vogliamo tentare di capire la crescente drammatizzazione dello scontro con la Russia dobbiamo partire da due concetti evidenziati recentemente dal Papa Francesco e da Henry Kissinger. Esprimendo con un’immagine semplice un’idea complessa, il Papa ha ammonito che una guerra mondiale è già in corso, ma che non viene percepita perché “spezzettata”. Per Kissinger, nell’attuale fase storica, “l’ordine internazionale si trova di fronte ad un paradosso: la sua prosperità dipende dal successo della globalizzazione, ma il processo di globalizzazione scatena una reazione politica che spesso finisce con l’ostacolare le sue aspirazioni”.
Potremmo dire che stiamo vivendo un conflitto “a rete” e”di reti” che non possiamo interpretare con i tradizionali concetti di nazione, di confronto fra potenze, di blocchi, di valori e persino di vittoria e sconfitta. La globalizzazione ha dissolto il perimetro del potere politico, essenzialmente nazionale, senza che emergessero nuove forme istituzionali, giuridiche, culturali capaci di costituire strutture adeguate a governarla. Non c’è da stupirsi se Putin e la classe dirigente russa vivano la dissoluzione dell’URSS come una grande tragedia storica. Essa ha significato il declassamento della Russia a potenza regionale stretta fra l’Europa e gli Stati Uniti a occidente e l’emergente potenza della Cina ad oriente.
La Russia dipende essenzialmente dall’esportazione di materie prime, soprattutto energetiche e ha bisogno di tecnologie per sfruttarle e aumentare la sua competitività. Putin sa che il monopolio energetico è precario e le risorse che ne trae sono destinate a ridursi e che l’economia russa è complementare e asimmetrica rispetto a quella dell’UE e della Cina. Tutto ciò ne ha fatto contestualmente riemergere l’atavica sindrome d’accerchiamento e la storica vocazione imperiale: due elementi che hanno sempre incarnato l’orientamento strategico delle classi dirigenti russe. L’UE e gli Stati Uniti, anche se con motivazioni diverse, hanno commesso l’errore di scambiare la debolezza politica ed economica russa per la rassegnazione ad un ruolo subordinato, forzando i tempi dell’allargamento dell’UE, ampliando il raggio d’azione della Nato e introducendo nei rapporti politici elementi ideologici e morali che non potevano essere compresi.
Il conflitto in Ukraina ha portato a maturazione tutte queste contraddizioni. La crisi economica internazionale si è innescata sui conflitti d’interesse economici e politici fra Mosca, Kiev, l’UE e Washington e fra il nazionalismo ucraino e quello russo. La portata internazionale di questi eventi è stata sottovalutata e male interpretata dall’UE – anche per la pressione della Polonia, dei paesi baltici e di altri stati dell’Europa dell’Est – e dagli Stati Uniti. L’interesse dell’Europa e dell’Italia non è certo quello di erigere muri o di entrare in guerra con la Russia, né, tanto meno, di cedere alle pressioni degli oltranzisti ucraini e filorussi e agli atti di forza di Mosca. Putin sa che non potrà e non gli converrebbe occupare l’Ukraina e che la sua unica reale opzione è quella di ottenerne la trasformazione in uno Stato Federale nel quadro di un nuovo assetto dei rapporti economici e politici con l’UE e gli Stati Uniti.
Il vertice Nato di Newport ha certificato che permangono approcci diversi fra gli stati europei e da parte degli Stati Uniti, ma che a questa linea politica non c’è alternativa e l’inizio di un negoziato fra Poroschenko e Putin lo dimostra. Su questo obiettivo bisogna che lavorino l’Italia e l’UE, con la consapevolezza che si tratta di una strategia complessa, di lungo respiro e piena di ostacoli . Per poterla perseguire urge promuovere un nuovo assetto dell’UE, a “geometria variabile”, con un nucleo di paesi, disposti ad accelerare il processo di integrazione politica e ad assicurarle una guida più stabile ed omogenea.