Potrebbe essere un nuovo scontro Est-Ovest, una replica di quella Guerra Fredda che congelò l’Europa durante il XX secolo, ma ci sono importanti differenze che riguardano in particolare il Vecchio continente.
Cominciamo dai segnali più preoccupanti: il conflitto in Ucraina, insieme militare, politico ed energetico, le sanzioni imposte alla Russia, la corsa allo sviluppo di nuove armi nucleari, una brigata americana inviata di rinforzo in Polonia, i nuovi missili di teatro dispiegati da Mosca a Kaliningrad, la crescente presenza militare russa nel Mediterraneo, le pesanti interferenze di Mosca nella politica interna americana ed europea, le fake news, la “guerra” cibernetica, eccetera. Ce n’è più che abbastanza per alimentare una nuova Guerra Fredda.
Cambio di passo rispetto all’Urss
Tuttavia ci sono anche significative differenze con il passato. In primo luogo questa Russia, pur restando una superpotenza nucleare e una grande potenza militare convenzionale, non è l’equivalente della vecchia Unione sovietica, non occupa metà della Germania e dell’Europa e non esercita lo stesso livello di minaccia.
In secondo luogo è diverso il contesto politico e ideologico. Scomparsa l’Internazionale comunista, gli alleati politici di Mosca sono, oggi, soprattutto i nuovi populisti europei: quegli stessi, peraltro, che sono in armonia con la visione politica del presidente statunitense Donald Trump. Non è più il grande confronto capitalismo-comunismo, né quello tradizionale tra democrazia e dittatura. E non è più un chiaro confronto ideologico tra Est ed Ovest. È piuttosto una gara per stabilire chi avrà il sopravvento in Europa, tra potenze che, almeno in questa fase, non condividono i valori e le politiche affermatesi nell’Unione europea, nell’ambito di sicurezza garantito dall’Alleanza Atlantica.
Certo, questa amministrazione americana non vuole perdere l’Europa a vantaggio della Russia e, almeno nei suoi documenti strategici, riconosce i grandi vantaggi che trae dal suo sistema di alleanze, ma allo stesso tempo non condivide molte politiche e scelte europee e vede l’Ue come un avversario commerciale. Anche in passato la concorrenza economica e commerciale tra Europa e Stati Uniti ha provocato momenti di disaccordo e tensione, che tuttavia sono stati gestiti nel quadro di un forte interesse strategico comune e nella convinzione che non si stesse conducendo una partita a somma zero, in cui si può guadagnare solo quello che l’avversario perde.
Ue sospesa tra Washington e Mosca
Si delinea quindi uno scenario difficile da gestire, dove l’Europa deve basare la sua sicurezza sull’appoggio di un alleato indispensabile, ma che vedrebbe con favore il suo indebolimento economico e istituzionale. Nello stesso tempo l’Europa è anche spinta ad avviare un serio dialogo politico con la Russia per ragioni di prossimità geografica, di sicurezza energetica e per la necessità di ridurre e gestire le troppe crisi aperte lungo le sue frontiere orientali e meridionali, ma deve fare i conti con le ambizioni nazionalistiche di Vladimir Putin. Una navigazione tra Scilla e Cariddi.
Tuttavia, convivere con gli Usa di Trump, benché non facile né comodo, è certamente possibile e potrebbe anche risolversi positivamente, se aiutasse l’Ue a rafforzare le proprie difese e a perseguire con maggiore determinazione la propria unità. Più difficile invece è trovare il modo di difendersi dalla Russia di Putin senza tagliare i ponti del necessario dialogo e senza rinunciare ai potenziali vantaggi di alcune convergenze (contro il terrorismo, la proliferazione nucleare, l’instabilità alle frontiere, eccetera).
È possibile considerare la scontata rielezione di Putin alla presidenza come una opportunità, oltre che come una sfida? La risposta dipenderà dalla capacità europea di convincere il presidente russo che l’Ucraina, ed altre repubbliche europee ex-sovietiche, sono più utili a Mosca come Stati cuscinetto, aperti ad ambedue le parti, che come vittime di un costoso processo di ri-annessione dai risultati finali più che dubbi.
In una tale linea, potrebbe essere possibile rimuovere una parte almeno delle sanzioni imposte alla Russia, quelle non direttamente collegate con l’annessione della Crimea, e favorire importanti investimenti nelle repubbliche ex-sovietiche che possano profittare anche a Mosca. Putin potrebbe essere interessato a ridurre le pressioni che attualmente lo spingono ad accrescere la sua vigilanza militare in tutta l’area ex-sovietica.
Nuova sostanza al controllo degli armamenti
La cosa vale anche fuori dell’Europa. Dopotutto, il costo economico ed umano dell’intervento russo in Siria sta rapidamente aumentando, mentre i suoi benefici diminuiscono, a causa della determinazione di Bashar al Assad di approfittare dei dissensi nella coalizione per proseguire nel suo tentativo di riconquista del Paese. In tal modo svanisce l’illusione di poter chiudere il conflitto con un armistizio organizzato attorno ad una serie di diverse sfere di influenza che fanno capo ai vari membri della coalizione, e la guerra continua.
Né la Russia può guardare senza preoccupazione alla eventualità di una guerra, diretta o indiretta, con l’Iran che coinvolga parte del mondo arabo ed Israele. Una posizione comune europea aperta alla possibilità di riconoscere alcune convergenze e di elaborare alcuni compromessi, potrebbe fare la differenza.
Allo stesso tempo, gli europei sono interessati a perseguire un serrato dialogo con Washington perché venga data nuova sostanza alla politica di controllo degli armamenti convenzionali e nucleari, prima che venga denunciato il Trattato Inf o che venga a scadenza il SALT III. Per il convenzionale, l’iniziativa può partire dall’Osce (quest’anno a presidenza italiana), ma il nucleare richiede un approccio bilaterale tra Mosca e Washington. Gli europei potrebbero contribuire elaborando proposte in aree collegate e di grande interesse strategico, sia convenzionale che nucleare, come la sicurezza cibernetica o quella degli asset nello spazio extra-atmosferico.
Niente di tutto questo sarà facile, ma la sicurezza dell’Europa richiede un deciso tentativo di ridurre sin dall’inizio i rischi di una nuova Guerra Fredda anomala, le cui conseguenze sarebbero pagate a caro prezzo in primo luogo dall’Europa.