- Nel dicembre 2021 è stata presentata dalla Commissione europea la Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio per il miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali COM (2021) 762.
- Nel 2023 il Parlamento Europeo ha approvato una posizione che rende quasi automatica la classificazione dei lavoratori delle piattaforme digitali come lavoratori dipendenti, a scapito dei lavoratori (che sono e desiderano essere) genuinamente autonomi. All’interno dei gruppi parlamentari, il voto non è stato unanime, quasi la metà dei componenti del PPE hanno espresso posizioni diametralmente opposte rispetto agli altri.
- Il prossimo 12 giugno, si riunirà il Consiglio dei ministri Ue su “Occupazione, politica sociale, salute e consumatori” per decidere sull’orientamento da assumere in vista dei trilogi con il Parlamento europeo e la Commissione.
- A fine maggio 2023, alla riunione del COREPER (Comitato dei rappresentanti permanenti) ben quattordici delegazioni hanno manifestato l’impossibilità di supportare il testo proposto dalla Presidenza svedese.
- Anche nel Consiglio dei ministri dell’UE, non è semplice trovare una sintesi, più Paesi intendono preservare la flessibilità del proprio mercato del lavoro, mantenendo la specificità delle legislazioni nazionali.
Siamo di fronte ad una scelta destinata a dividere i paesi più che ad unificare le condizioni di lavoro? Gli enormi cambiamenti che hanno investito la realtà e le regole del lavoro rischiano di venire “ristrette” in una regolazione che non ha molto a che fare con la realtà le evoluzioni inedite dei lavori (smartworking, big resign etc). Una condizione che si scontra con una costante domanda di flessibilità e apertura: in relazione ai tempi, ai luoghi, e alle modalità… Sembra impossibile ed inattuale ricondurre tutto al dualismo lavoro “autonomo” e “dipendente”. Queste ed altre dinamiche nel panorama del lavoro, in particolare quella legata ai cosiddetti riders – un tempo corrieri in bicicletta – creano gravi sfasature proprio per il tentativo di applicare le vecchie normative del lavoro subordinato o autonomo a situazioni che prevedono periodi di attività e di inattività.
La questione “riders” e/o “gig economy”, è stata esaltata dai media (e nel conflitto politico) per lo più come simbolo-bandiera del lavoro precario e sfruttato; su questa base, si sostiene che non ci sia alternativa ad un’incorporazione “automatica” di queste attività nel lavoro subordinato o, almeno, all’adozione di condizioni e regolamentazioni stringenti per inserirla. Un’impostazione che trascura l’intrinseca incompatibilità con la subordinazione, in un lavoro dove la decisione di lavorare o meno resta a discrezione dell’individuo. Il rider può scegliere se e quando rendere disponibile il proprio tempo per le consegne, e può anche decidere di rifiutare le richieste di consegna. Altro aspetto critico di questa “costrizione” del lavoro dei rider è la possibilità (e/o convenienza) di collaborare con diverse piattaforme, anche contemporaneamente.
È una situazione complessa, che non può essere risolta equiparando il lavoro dei riders a quello dei lavoratori subordinati o autonomi tradizionali. È necessario un approccio che tenga conto della specificità e delle peculiarità di questo tipo di impiego.
Uno degli elementi centrali della proposta europea è l’introduzione prescrittiva di nuovi diritti per i lavoratori delle piattaforme. Al netto della tutela di diritti fondamentali, sindacali, rappresentanza, trasparenza, il merito degli equilibri che è possibile raggiungere, fa parte più delle abitudini e delle regole negoziali stabilite nei singoli paesi, che di una regolazione unica e cogente. Come anche in altri campi che non si dovrebbe pensare a regole europee come camicie di forza a taglia unica, o dogmi prescrittivi e tardivi.
Quali i punti controversi tra i diversi interessi in campo?
Molti lavoratori delle piattaforme svolgono queste attività come lavoro complementare per integrare il reddito e gestiscono il loro tempo in base ad altri impegni (quindi c’è un tema di scelta, di libertà e flessibilità del lavoratore che quasi tutte le indagini confermano). Alcuni ritengono che questa impostazione possa minare l’indipendenza dei lavoratori nella gestione delle proprie attività lavorative all’interno delle piattaforme. Ciò potrebbe limitare la flessibilità dei lavoratori, costringendoli a interrompere la collaborazione o a dedicarsi completamente all’attività lavorativa in oggetto. L’imposizione dell’assunzione può portare alla riduzione delle attività proprio nelle città o nelle zone meno popolate, dove i flussi di cassa potrebbero non giustificare l’assunzione di dipendenti fissi. Un’altra criticità è che la proposta di direttiva non affronta la disciplina dei lavoratori con contratti di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.), che rappresentano uno status intermedio tra lavoro subordinato e autonomo. La Polonia, che ha una figura giuridica simile, si è opposta a questa mancanza.
Paesi come la Francia e la Polonia, con un alto numero di lavoratori delle piattaforme, si dimostrano scettici rispetto alle nuove regole proposte, la Spagna si è mostrata favorevole, almeno fino alla convocazione di nuove elezioni politiche
Alcuni paesi suggeriscono, almeno, di alzare il numero di criteri soddisfatti per far scattare la presunzione di subordinazione, mentre altri chiedono l’approvazione o il rigetto totale della proposta.
L’Italia ha finora sostenuto la direttiva, ai tempi del Governo Draghi, ma la ministra del Lavoro, Marina Calderone, ha adottato un approccio più realista e attento al tema della flessibilità. Il governo presieduto da Giorgia Meloni ha incluso disposizioni nel decreto del primo maggio per considerare le caratteristiche specifiche di ogni tipo di collaborazione. Non è chiaro per ora quale posizione prenderà l’esecutivo a Bruxelles, ma è necessaria una riflessione seria sulle conseguenze di una forte spinta verso la riclassificazione dei lavoratori delle piattaforme. Il mercato del lavoro italiano è già rigido e affronta problemi di disoccupazione giovanile e bassi salari. È importante mantenere un equilibrio che consenta ai giovani di guadagnare qualche soldo e al contempo di sfruttare le opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Prima dell’avvento delle piattaforme online, del resto, questi servizi venivano svolte in modo precario e informale, spesso in nero.