Il sovranismo populista in salsa italiana sta giocando contemporaneamente una doppia partita: una a livello europeo, l’altra a livello nazionale. In entrambi i casi mirando a promuovere un’inversione di tendenza rispetto ai processi unitari che si sono realizzati nel Continente e nel nostro Paese in tempi tra loro lontani. A livello europeo si sta esercitando una preoccupante azione di delegittimazione dei valori che sono alla base del processo di unificazione avviato settanta anni fa. L’integrazione europea, attraverso un complesso percorso, e non senza contrasti, è riuscita a portare insieme un numero progressivamente crescente di paesi.
Nonostante le loro diversità, popoli e culture si sono riconosciuti in traguardi che, se si prova ad elencare i più importanti, rivelano le fondamenta straordinarie e preziose della costruzione unitaria europea: la messa al bando della guerra; l’affermazione dei valori comuni della civiltà europea; il rispetto dei principi della democrazia rappresentativa, della supremazia del diritto, della giustizia sociale e dei diritti dell’uomo; la progressiva unificazione del mercato; la confluenza delle monete nazionali in una forte e stabile moneta unica; l’approntamento di strumenti economici e normativi per sostenere la coesione territoriale e lo sviluppo di settori arretrati; la costruzione di norme comuni per lavorare alla tutela dell’ambiente in una visione di sviluppo economico sostenibile; l’impegno di risorse per promuovere la ricerca avanzata; la possibilità, per milioni di giovani studenti, di scegliere il luogo dove costruire il proprio futuro, da liberi cittadini europei.
Analogamente, a livello nazionale, senza considerare le terribili prospettive economiche in preparazione, si sta tentando di far passare un disegno di rottura del quadro unitario del Paese, facendo credere che, per crescere più speditamente, le regioni del nord debbano liberarsi del fardello meridionale. L’autonomia differenziata, che potrebbe ricevere una spinta decisiva dall’allentamento dello spirito unitario europeo, certamente porterebbe a un consolidamento definitivo del distacco economico e sociale del Mezzogiorno dal resto del Paese. Anche in questo caso, cioé, si tende a disconoscere che il processo unitario sia stato la condizione per costruire il tessuto di fondo dell’identità italiana, una realtà ricca di articolazioni territoriali che, nel loro insieme, sono divenute sempre più capaci di trasmettere al mondo un messaggio generalmente riconosciuto come modello italiano, fatto da un insieme di culture, costumi di vita, civiltà economiche diverse, ma intrecciate e interagenti come unicum.
Si può fermare questa deriva? Ormai molto dipenderà dai rapporti di forza interni all’assetto politico che emergerà dalle imminenti elezioni europee, e dal prevalere, o meno, della volontà di valorizzare gli importanti obiettivi raggiunti grazie al percorso unitario fin qui realizzato, adeguandoli alle esigenze imposte dai cambiamenti in atto nell’economia e nella società contemporanee. Si sta, infatti, configurando una fase cruciale della storia dell’Europa e del nostro Paese, nella quale si giocheranno le partite del necessario rinnovamento del sistema economico e sociale, e quella della collocazione nel quadro globale che si sta progressivamente definendo. Bisogna attrezzarsi per affrontare: le funzioni di assoluta preminenza che nuovi soggetti si preparano a svolgere a livello mondiale; la continua ricomposizione territoriale delle catene del valore su scala globale; i radicali mutamenti nei rapporti e nelle tecnologie di produzione; la rivoluzione nel mondo del lavoro caratterizzata da intensità e ritmi mai sperimentati; le situazioni di disuguaglianza nelle condizioni di vita arrivate a livelli non sopportabili né accettabili.
Non è possibile affrontare queste prospettive con un sistema Europa e un sistema Italia ambedue disuniti e distanti l’uno dall’altro. E bisogna essere consapevoli che è dall’Europa che bisogna iniziare. A questo livello si dovrà combattere presumibilmente una lunga e difficile battaglia per passare dalla dimensione dei traguardi acquisiti alla definizione di obiettivi corrispondenti alla formazione di un nuovo e coeso sistema sociale ed economico in cui si riconoscano le politiche dei paesi europei. Bisogna aprire il cantiere dell’Europa sociale, lavorando su politiche di welfare, sui diritti, sulle opportunità, e su un inclusivo innalzamento delle condizioni di vita delle persone. Bisogna dare una decisa e consistente dimensione europea alle politiche per la cultura, l’istruzione, la formazione ai nuovi lavori, la ricerca, il trasferimento tecnologico. Va decisamente aperta l’epoca della sostenibilità ambientale e della convergenza costruendo una nuova agenda per l’economia reale contemporanea degli stati europei e delle loro regioni.
Aldilà di tutto questo c’è un problema da considerare come ineludibile per l’Europa e, per quanto ci riguarda, l’Italia intera, con il suo Mezzogiorno. Si tratta dell’importanza che assumerà il Mediterraneo in quanto centralità geografica dello sviluppo futuro; qualcosa che ci spiega il dramma dell’immigrazione cui stiamo assistendo. Ciò richiama la necessità di costruire una direttrice mediterranea dello sviluppo europeo: uno scenario che, assieme a quelli della contemporaneità di cui prima si è parlato, ci obbliga a avviare un confronto approfondito per superare le logiche che negli ultimi decenni hanno ispirato le politiche per il nostro Mezzogiorno.