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Europa e competitività, i pilastri della crescita: un progetto liberal-riformista

FIRSTonline

Questo incontro ha lo scopo di fissare insieme a voi alcune linee guida di un progetto riformista-liberale che, se venisse intrapreso, offrirebbe al Paese la possibilità di recuperare il terreno perduto e di affiancarsi ai paesi con più elevati tassi di crescita.

Il punto di partenza è quello di una “operazione verità”. Occorre dire chiaramente che anche se stiamo registrando un tasso di crescita
abbastanza soddisfacente, siamo ben lontani dall’aver risolto i nostri problemi. Ma non dobbiamo cambiare strada, bensì approfittare della congiuntura favorevole sia interna che internazionale, per un rafforzamento strutturale del nostro sistema in modo da poter aumentare la velocità della ripresa e poter resistere alle crisi ,qualora dovessero capitare.

Come afferma già il titolo del nostro Convegno, i punti di partenza per vere politiche di crescita sono l’Europa e la competitività. Dopo la crisi di questi ultimi anni, l’Europa potrebbe essere in procinto di imboccare una strada di rilancio, cioè di una integrazione capace di favorire  maggiore crescita e piena occupazione.

L’Italia non può in alcun modo pensare di staccarsi dall’Europa. In primo luogo per ragioni storiche e geografiche, e poi per il livello di integrazione della nostra filiera produttiva. Le idee di coloro che ritengono più conveniente per noi uscire dall’Euro e quindi puntare tutto sulle esportazioni, porterebbero scarsi e momentanei vantaggi, mentre di sicuro gli inconvenienti sarebbero enormi. L’export è importante ma, da solo, non potrà mai trainare l’intera economia (anche quest’anno la domanda interna ha giocato un ruolo determinante).

Soprattutto i fautori del ritorno alla nostra moneta nazionale e quindi di una robusta svalutazione non considerano che in questo modo verrebbero abbondantemente tagliati i redditi ed i patrimoni dei cittadini. Altro che avere più soldi per il sociale, ci sarebbero più sacrifici per tutti, ed in modo particolare per gli anziani, i pensionati e tutti coloro che hanno un reddito fisso e qualche soldo da parte.

Ma dire che dobbiamo stare in Europa perché ci conviene, apre il secondo problema e cioè del “come” dobbiamo starci e che cosa dobbiamo fare per far sentire la nostra voce al tavolo del rilancio europeo. E qui balza in evidenza il principale punto di debolezza del nostro paese: il debito pubblico.

Il peso del nostro debito non solo schiaccia le potenzialità di crescita dell’economia (i soldi spesi per interessi vengono sottratti agli investimenti ed ai consumi) ma sul piano europeo, suscita crescenti apprensioni presso tutti gli altri partners. Negli ultimi tempi si sono aperti almeno due fronti assai critici per noi. Da un lato è stata avanzata l’idea di regole per un default ordinato degli Stati con alto debito prima ancora che essi possano manifestare l’impossibilità di ripagarlo. Dall’altro, ma le cose sono collegate, si vorrebbero imporre dei tetti alle posizioni in titoli di Stato delle banche. Ma come è stato dimostrato da alcuni economisti italiani queste politiche condurrebbero ad esiti diametralmente opposti a quelli voluti. Cioè creerebbero più instabilità e maggiori rischi di crisi.

La dichiarazione di Merkel e Sarkosy a Deauville sul debito greco lo dimostra pienamente. In più vi sono le nuove regole sugli Npl delle banche che hanno suscitato grande allarme perché rischiano di comprimere il credito proprio nel momento in cui le nostre banche stavano uscendo da una lunga crisi e i nostri Npl si sono ridotti di oltre 20 miliardi in soli sei mesi.

Tutto questo ci dice che l’Europa non è un pranzo di gala. Bisogna

starci, ma occorre avere le idee chiare su cosa proporre. Non serve battere i pugni sul tavolo. Bisogna portare proposte e soprattutto dimostrare  di avere  credibilità per vincere i timori degli altri paesi. Invece molte forze politiche sembrano ritenere che la crisi sia superata e che ora si può tornare ad allargare le maglie della spesa pubblica ritoccando pensioni e sanità e contemporaneamente riducendo le tasse. Troppi partiti confondono le promesse con le proposte.

Promesse irrealizzabili e, se attuate, controproducenti. Una strada virtuosa e non illusoria è quella indicata dal prof Gianni Toniolo quando ha invitato le varie forze politiche a stipulare, prima delle elezioni, un patto che le impegnerebbe, in caso di vittoria, a ridurre il debito. Una mossa del genere fatta da politici responsabili, prima ancora della sua attuazione concreta, modificherebbe in positivo le aspettative dei mercati e l’atteggiamento dell’ Europa, per cui potremmo da subito godere di alcuni effetti positivi sui tassi d’ interesse e sugli investimenti.

Ma per ridurre il debito ci possono essere varie strade. Sicuramente va controllata la spesa pubblica cercando di innalzare il saldo primario senza aumentare il carico fiscale, e casomai riequilibrarlo tra imposte dirette ed indirette. Ma quello che sarebbe risolutivo è cercare di innalzare il tasso potenziale di crescita. E questo dipende dalla competitività del sistema. Negli ultimi decenni abbiamo perso molto terreno perchè non siamo riusciti ad adattare il nostro sistema economico alle nuove esigenze dell’economia globale (sia detto per inciso questa dipende dalla tecnologia e non si può contrastare con la chiusura delle frontiere e con il ritorno al nazionalismo).

Bisogna rendere il nostro sistema giuridico ed amministrativo più amichevole verso chi intraprende, riformare la Giustizia, rivedere il reticolo di vincoli della PA, riformare nel profondo scuola ed università (come suggerito dall’ Ocse), modificare le nostre città per migliorare la qualità della vita e l’efficienza produttiva. Cambiare il welfare per renderlo adatto ad una società ed un lavoro più mobile, e spingere il mercato del lavoro verso la contrattazione aziendale per migliorare la produttività e poter innalzare i salari.

Si tratta di un complesso di cambiamenti che molti indicano come “piccole riforme” ma che forse tanto piccole non sono. Non mi dilungo oltre anche perché sono tutti temi che verranno certamente approfonditi dagli altri interventi.

Il problema entro cui si dibatte la politica è quello di trovare il consenso per fare quelle cose che sarebbe necessario fare. Ed allora si preferisce fare promesse, o prospettare ,come fa Berlusconi alberi, della cuccagna, o inventarsi misteriosi redditi di cittadinanza, oppure proporre di aumentare il deficit al 3% come dice Renzi senza sapere da chi farci prestare i soldi, tutte promesse che poi alla fine si tramuteranno in cocenti delusioni.

Il passato insegna: nel 2011 fu il totale rifiuto della Lega di riformare le pensioni e di ridurre l’eccessiva espansione del così detto “socialismo municipale” a provocare la crisi del nostro debito e i lunghi anni di sacrifici che ne sono seguiti con tagli alle pensioni ed a tutti i redditi assai più drastici. Non è colpa del medico se il malato si è aggravato per incuria !!

Ed invece sono convinto che illustrare ai cittadini la convenienza di un certo percorso basato sull’abbattimento anche graduale, dei privilegi e delle posizioni di rendita, sull’aumento delle opportunità per tutti, sull’ordinato svolgimento della vita civile, non sia impossibile e non sia vano. Si può spiegare che alla crisi non  si resiste chiudendosi nel proprio fortino , ma accettando la sfida del cambiamento che deve essere naturalmente gestito con  strumenti adattati per assicurare l’ordinato passaggio verso lavori più produttivi. Combattere le naturali paure delle persone con fallaci promesse  può solo spingerci verso un triste e deprimente declino.

Non sarà un impegno facile, ma noi riformisti-liberali che, come dimostra la nostra storia abbiamo assicurato progressi immensi a gran parte dell’umanità, ( cioè noi che siamo i veri progressisti) abbiamo l’obbligo di impegnarci in questa ennesima battaglia di progresso.

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