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Europa con tante inflazioni diverse: dall’11,2% della Slovacchia, al 6,7% dell’Italia e all’1,6% della Spagna. Quanti problemi per Bce

Imagoeconomica

L’Europa, o meglio l’Eurozona con i suoi 20 Paesi che hanno adottato l’euro, è una e una è anche la politica monetaria della Bce ma le inflazioni del Vecchio continente sono tante e si attestano su livelli molto diversi. Se a giugno 2023 l’inflazione dell’Eurozona si è attestata mediamente sul 5,5%, in calo rispetto al 6,1% di maggio, al suo interno le differenze tra l’andamento dei prezzi sono macroscopiche. Si va dall’11,2% della Slovacchia, dove l’inflazione raggiunge il livello più alto dell’Eurozona, all’estremo opposto dell’1,6% della Spagna, del Belgio e del Lussemburgo con la Francia che si colloca virtuosamente al 5,3%, e cioè sotto la media europea, e Italia e Germania che invece sono sopra con il loro 6,7%.

Le differenze di inflazione nascono dal diverso grado di dipendenza energetica

Ma il punto è capire da dove nascono differenze d’inflazione così grandi e che effetti possono avere sulla politica monetaria della Bce, che è una sola, e quali differenti ripercussioni possono avere i rialzi uniformi dei tassi della Banca centrale su Paesi che hanno livelli di inflazione profondamente diversi. E’ esattamente quanto cerca di fare un recentissimo report dell’Osservatorio dei conti pubblici italiani (Cpi) dell’Università Cattolica guidato da Giampaolo Galli.

La tesi di fondo del report, firmato da Massimo Bordignon, Federico Neri e Nicoletta Santifer, è che le divergenze dei tassi d’inflazione dipendano essenzialmente dal diverso grado di dipendenza energetica dei Paesi, esplosa clamorosamente dopo le ritorsioni russe sul gas a seguito della guerra in Ucraina, e dalle differenti politiche adottate contro il caro energia.

Se questa è la realtà, due sono i problemi che stanno di fronte alla Bce. Il primo è già sul tappeto e, come segnala il report, è che la politica monetaria della Bce, essendo unica per tutta l’area, “rischia di risultare eccessivamente restrittiva o espansiva in alcuni Paesi” con tutto quello che ne consegue sulle loro performance economiche.

Per proseguire la disinflazione è indispensabile evitare la rincorsa prezzi-salari

Il secondo problema è di prospettiva e riguarda il “rischio che, nonostante la caduta dei prezzi dell’energia, in futuro l’inflazione si autoalimenti tramite una rincorsa prezzi e salari” che per ora, come ha ricordato il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco nelle sue Considerazioni finali del 31 maggio scorso, non c’è ma che non permette di abbassare la guardia. Il report dell’Osservatorio rileva che “la quota dei profitti sul Pil reale è effettivamente cresciuta negli ultimi tre trimestri in tutti i Paesi dell’Eurozona, anche se ciò non implica necessariamente maggiori margini di profitto per le imprese”. Per il futuro però – è la raccomandazione del report -“è necessario che, man mano che con i nuovi contratti i salari recupereranno il potere d’acquisto perduto con l’inflazione, la quota dei profitti sul Pil si riduca perché il processo di disinflazione prosegua”. Al contrario, un ulteriore aumento dei prezzi da parte delle imprese genererebbe un conflitto distributivo e costringerebbe la Bce a una politica ancor più restrittiva per domare l’inflazione”.

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Categories: Economia e Imprese