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“Europa al bivio tra maggiore coesione e ritorno ai nazionalismi”. Intervista a Perissich sulle sfide della Ue

Imagoeconomica

L’Europa si trova a dover affrontare sfide decisive per il proprio futuro. Dal lato politico l’invasione russa dell’Ucraina ha imposto una risposta decisa da parte dei paesi europei, non solo quelli dell’est.  Come dicono chiaramente i portavoce di Putin il vero obiettivo della guerra è quello di disarticolare l’Europa in quanto sono i paesi europei che nei disegni russi dovrebbero liberarsi del “vassallaggio” verso gli Stati Uniti e accettare un nuovo ordine mondiale in cui Mosca avrebbe un ruolo fondamentale. 

Sotto il profilo economico la sfida lanciata dagli USA con un massiccio piano di sostegno alla propria industria potrebbe danneggiare le imprese europee che, senza aiuti pubblici, non potrebbero tenere il passo con gli avanzamenti tecnologici americani. 

Su questi temi abbiamo rivolto alcune domande a Riccardo Perissich, che per oltre un ventennio ha ricoperto incarichi apicali alla Commisione europea e poi ha avuto importanti esperienze in aziende italiane con forte proiezione internazionale. 

Dottor Perissich, sullo sfondo di questi due temi vi è la ripresa del nazionalismo che riguarda un po’ tutti i paesi. Forse le difficoltà incontrate dalla globalizzazione, gli squilibri creati nelle varie economie, la crescente popolarità dei regimi autoritari ritenuti più capaci delle democrazie di gestire l’incertezza, stanno spingendo molti cittadini a rinchiudersi nei confini dei vecchi Stati. E questo, al contrario, proprio mentre la guerra scatenata dalla Russia ha rafforzato apparentemente la solidarietà dell’Occidente sia dal punto di vista politico che militare. Si tratta di una coesione apparente dovuta alla paura della Russia o di una buona base sulla quale sarà possibile rafforzare la coesione dell’Europa e del rapporto con gli Stati Uniti, mantenere la libertà dei mercati e conservare le democrazie? 

“In un certo senso, il nazionalismo non è mai scomparso. Del resto definirlo e distinguerlo dal patriottismo che invece è un valore positivo, non è sempre semplice. Ciò che è incontestabile è che le rapide mutazioni del mondo attuale, interne e internazionali, hanno ovunque rafforzato le identità: religiose, territoriali, sociali, etniche, e quindi anche nazionali. Non è necessariamente una cattiva cosa. Altra cosa incontestabile è la battuta d’arresto di un ordine internazionale che avevamo definito “post-westfaliano”, cioè un ordine in cui la sovranità degli attori viene mitigata da regole e istituzioni internazionali condivise. Il vero pericolo è tuttavia quando il nazionalismo diventa aggressivo; spesso nutrito allo stesso tempo da un senso di superiorità e da un senso di vulnerabilità di chi si sente accerchiato da potenze ostili. Fu ciò che condusse alla rovina i nazionalismi europei della fine ‘800 e della prima metà del ‘900; in Germania soprattutto, ma non solo. Oggi vediamo le stesse sindromi in Russia e forse, ma in modo ancora meno chiaro, in Cina. Questo tipo di nazionalismo è spesso sostenuto da regimi autoritari. La risposta unitaria dell’occidente (allo stesso tempo dell’Europa e della NATO) è fantastica, tanto più che non era scontata. Mostra qualche fragilità, ma finora ha tenuto e non vedo segni di indebolimento. Anzi, le atrocità commesse dalla Russia la rafforza.”

L’Europa si trova di fronte a scelte difficili anche sotto il profilo economico in quanto dovrà presto decidere come rispondere al piano americano di sostegni alla propria industria per agevolare la transizione verde. Se ogni paese europeo sarà autorizzato da Bruxelles a fare da solo una politica industriale di aiuti pubblici alle proprie imprese si rischia di mandare in frantumi il mercato unico perché non tutti i paesi possono permettersi aiuti di uguale misura. Senza contare che in alcuni casi le spinte politiche potranno portare a finanziare industrie obsolete invece di puntare sull’innovazione. 

“Ciò che dici è giusto. l’Europa non si sviluppa mai sulla base di un piano. Reagisce agli eventi. Finora, pur con varie contorsioni, è sempre riuscita ad affrontare le difficoltà e a rafforzarsi. La sfida attuale è molto difficile, anche perché dobbiamo affrontare allo stesso tempo la guerra, l’inflazione, la crisi energetica e i postumi della pandemia. Mi sembra però che stia emergendo un consenso su una risposta basta su tre elementi: aiuti nazionali inquadrati dalla Commissione, un nuovo programma di aiuti europei e un negoziato con gli USA. Nulla è acquisito, ma mi sembra che le cose maturano nel buon senso.”

Ma se l’Europa non dovesse riuscire nei prossimi mesi ad impostare una politica industriale comune non si rischia di lasciare liberi tutti gli Stati di fare quello che ritengono più giusto per loro e quindi far tornare indietro il processo di integrazione che sia pur tra pause e incertezze è comunque andato avanti? 

“Ogni volta che abbiamo un problema con gli Stati Uniti, gli effetti possono essere di dividere gli europei. Vedremo la qualità della risposta. Il problema è che per essere pienamente all’altezza dovremmo avere gli strumenti di una vera unione politica, ma nessuno la vuole veramente. Quindi siamo condannati al pragmatismo. È così da 70 anni.” 

Oltre a gestire risorse in comune, Bruxelles non dovrebbe puntare anche su norme capaci di unificare i mercati nazionali sia per quel che riguarda il settore finanziario, sia per quel riguarda le società industriali dove mi sembra che gli accordi trasfeontalieri siano spesso ostacolati dai governi nazionali. 

“Mancano norme comuni per far nascere un vero mercato dei capitali, ma le norme per far funzionare il mercato in gran parte ci sono. I cosiddetti “campioni europei” devono nascere dalla volontà degli imprenditori; non li decide la politica. Il problema sono i governi che parlano di politica industriale europea, ma in realtà pensano a quella nazionale e spesso ostacolano le aggregazioni. In questo gioco nessuno è innocente, ma Italia e Francia sono più colpevoli di altri.” 

Senza una politica comune della sicurezza l’Europa non sarà mai un interlocutore cedibile per gli USA e per il resto del mondo a cominciare dall’Africa e dal Medio Oriente. Nessuno si fida di paesi che una volta dominavano il mondo ma che oggi appaiono imbelli , incapaci di affrontare le sfide che si presentano alle loro frontiere, si veda la Libia. Che possibilità ci sono di arrivare in tempi ragionevoli ad un esercito europeo? 

“Questo è forse il passo più difficile. Tutta la costruzione europea è basata sul presupposto che la sovranità sia divisibile e che sia possibile trasferirne pezzetti all’Europa, mantenendo il resto nelle mani degli Stati. Finora ci siamo riusciti. Abbiamo persino fatto una moneta unica senza governo centrale. Non è detto che l’operazione sia possibile anche per la difesa. Avere un esercito vuol dire potenzialmente decidere di mandare la gente a morire. Chi ha il diritto di deciderlo per tutti e come? Da questo siamo molto lontani; è veramente il cuore della sovranità. Per il momento c’è un duplice effetto benefico, diciamo così, della guerra in Ucraina. Da un lato ha risvegliato alcuni paesi come la Germania e l’Italia dal loro lungo sonno pacifista. Dall’altro ha dimostrato una volta per tutte che difesa europea e rafforzamento della NATO non sono alternative, ma complementari. Sono entrambi buoni punti di partenza.” 

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