In attesa delle decisioni della Fed i gestori monetari, alle prese con la marea della liquidità in cerca di sistemazione, fanno stamani rotta verso i primi eurobond. Da oggi, infatti, va in asta il Recovery Fund, ovvero il collocamento della prima emissione decennale con scadenza nel 2031 legata al progetto Next Generation Eu che servirà per far riavviare l’economia degli Stati europei, a partire dall’Italia.
Ed è stato subito boom: dopo meno di un’ora, il consorzio di banche incaricato di questo primo collocamento (Bnp Paribas, Dz, Intesa Sanpaolo e Morgan Stanley, lead coordinator Danske Bank e Santander) ha già ampiamente superato il tetto dei cento miliardi di richieste a fronte di un’offerta di dieci miliardi di euro, prima tranche delle emissioni che, per il 2021, potrebbero arrivare ad un totale di 185 miliardi (ma si dovrebbe restare ben al di sotto dl limite massimo). È la prima di una serie di emissioni fino a 800 miliardi di euro che finanzierà sovvenzioni e prestiti agli Stati membri fino al 2026.
Sotto la pressione delle richieste, il rendimento della nuova emissione ha subìto uno sconto rispetto al tasso midswap a 10 anni, a 0,06% da 0,08%. Niente di inatteso, se si pensa che lunedì i bond a cinque anni emessi dalla Grecia sono scesi sotto il tasso zero. L’arrivo di un nuovo competitor non ha del resto avuto effetti negativi sul mercato dei debiti governativi: stamane il Bund decennale tedesco passa dal -0,25% al -0,256%, il Btp dallo 0,78% allo 0,76%. Lo stesso T bond usa scivola dall’1,494% all’1,488% a conferma che i mercati per ora non paiono temere che la Fed citi il tapering a breve.
Insomma, il debutto della nuova carta europea non ha creato scompiglio sul mercato. Anzi, gli operatori attendono con interesse le prossime emissioni ESG, il 30% del totale, un segmento di mercato particolarmente appetito dai gestori a caccia di emissioni verdi. “C’è interesse e un bisogno per queste obbligazioni – scrive Conlay Finlayson di Aegon – da parte di una base di investitori più diversificata, aggiungendo un potenziale di rendimento migliore rispetto ai loro equivalenti tradizionali”. In prospettiva un rivale temibile per gli emittenti a tripla A a partire dai Bund. Nessun problema per la periferia, in particolare per i Btp, gli unici che garantiscono un reddito su tutte le durate.
Al di là dello scontato debutto positivo, l’arrivo degli Eurobond, pur se considerati alla stregua di un intervento una tantum contro la pandemia e non uno strumento stabile (come chiede l’Italia), rappresenta un passo storico. Non è il “momento Hamilton” dell’Europa, in ricordo del segretario al Tesoro Usa che accollò al debito federale una parte rilevante delle passività delle 13 ex colonie dopo la guerra d’Indipendenza, ma è comunque una novità di grande rilievo: non capita spesso che emerga un emittente tripla A con una potenzialità di 800 miliardi di euro, pur in un mondo che galleggia su un mare di debiti. Stamane il Wall Street Journal rileva che il debito corporate americano è salito, ai tempi della pandemia, ad un livello record di 11.500 miliardi di dollari.
In questa situazione, tornando nell’Eurozona, è senz’altro positiva la notizia che la Commissione Europea ha concesso il prolungamento per un ulteriore anno (fino al 14 giugno 2022) del meccanismo GACS, il quale prevede la possibilità per le banche di richiedere la garanzia statale sulle senior notes nel caso di cartolarizzazioni di sofferenze. Il meccanismo, introdotto nel 2016, è stato utilizzato 27 volte, consentendo al sistema italiano di ridurre lo stock di sofferenze per 74 miliardi di euro.