“Il legislatore italiano sta rischiando: uccidendo il trading, che è ad oggi l’unico settore bancario in crescita, si sta mettendo a rischio il sistema Italia, favorendo la fuga all’estero dei fondi d’investimento e di fatto creando disoccupazione”. A lanciare l’allarme, a 7 mesi dall’entrata in vigore della Tobin tax, la discussa “e demagogica” imposta sulle transazioni finanziarie, è Massimo Siano, responsabile del mercato italiano e francese per Etf Securities, società inglese tra i leader mondiali nell’emissione di Etp.
“L’Italia – ha ricordato Siano in una conferenza stampa a Milano per fare il punto sugli effetti della Tobin tax – è il secondo Paese al mondo per il trading online, secondo solo agli Stati Uniti. Se si esagera con le tasse, i grandi fondi che sono azionisti delle maggiori banche e assicurazioni del Paese, ci mettono poco a imporre il trasferimento della sede legale”. La Tobin tax dunque spaventa, anche se non riguarda tutte le operazioni finanziarie e anche se ad oggi non è possibile quantificare se e quanto gli operatori e i clienti finali abbiano subito il contraccolpo di una imposta voluta dall’Ue ma recepita sinora da pochi Paesi, tra cui l’Italia da marzo 2013 (con il primo pagamento che scade proprio oggi, 16 ottobre).
“La Gran Bretagna ad esempio è contraria – spiega un legale di Etf Securities, Marco Boldini – e ha già posto la questione in sede europea: tra i tanti principi violati da questa legge, c’è quello dell’uguaglianza, visto che costringe attori non Ue a sottoporsi alle regole comunitarie. Sarà un caso, ma da marzo a oggi il volume giornaliero di scambi azionari è sceso in Italia del 48%, da 4,5 a 2,9 miliardi di euro. Ed è indicativo anche che il mercato dei derivati sia calato del 12% quest’anno”.
Già, perché questa imposta (attualmente dello 0,12% sui mercati regolamentati e dello 0,22% sugli Otc, da gennaio 2014 dello 0,1% e dello 0,2%), che si applica al trasferimento delle proprietà delle azioni e degli strumenti finanziari partecipativi emessi da società residenti nel territorio italiano e con capitalizzazione superiore ai 500 milioni di euro (e al trasferimento della proprietà dei titoli rappresentativi, a prescindere dalla residenza dell’emittente del certificato), si applica da 1° settembre anche ai derivati che abbiano un sottostante composto almeno al 50% da indici azionari italiani.
Tutto sommato, come riconosciuto dagli stessi operatori di Etf Securities, un ambito ben circoscritto, che esclude per esempio i derivati che hanno come sottostante commodities, tassi e currencies, e tutti gli Etp. O, per meglio dire, quasi tutti. Se infatti è pacifico che gli Exchange Traded Commodities siano per definizione assolutamente esclusi dall’applicazione dell’imposta, la società britannica contesta che in realtà per gli Etf non è al 100% così. “Ci sono ad esempio dei costi indiretti – rivela Boldini -: per dire uno, la replica sintetica dell’indice prevede la stipula di un contratto derivato con Swap providers, e vi sarà dunque un’imposta che l’emittente dell’Etf dovrà pagare per poter concludere tale transazione”.
Il costo dell’operazione, se paragonato all’entità degli scambi, rimane comunque irrisorio: al massimo 200 euro, anche se con possibili (ancorché ancora più irrisori) effetti sullo spread. Conseguenza ancora più limitate se si pensa che, esaminando proprio il portafoglio di Etf Securities, gli Etp da lei emessi in Borsa Italiano sono in tutto 156, di cui 144 Etc (quindi totalmente esclusi) e solo 12 Etf, di cui solo due risentono indirettamente della Tobin: Etfx Ftse Mib Leveraged (2x) Fund e l’Etfx Ftse Mib Super Short Strategy (x2) Fund.
Che puntare su Etc e Etf sia dunque la soluzione all’allarme? Tutto sommato perché no, come ammette lo stesso Massimo Siano: “Ci aspettiamo effettivamente che l’utilizzo di Etf ed Etc sia destinato quindi ad aumentare nei prossimi mesi, dato che l’acquisto e la vendita di entrambi gli strumenti non sono soggetti alla Tobin tax”.