L’approvazione della Sec del primo Exchange Traded Fund (Etf) su Bitcoin a Wall Street non è tutta rose e fiori. Se da un lato, infatti, apre la via agli investimenti nelle criptovalute, dall’altra rischia di impattare enormemente sulla lotta al cambiamento climatico.
La creazione (o più precisamente il mining) di bitcoin e di tutte le altre criptovalute ha infatti un impatto ambientale significativo, con notevoli emissioni di gas serra e consumo di acqua. L’arrivo quindi degli Etf potrebbe influenzare negativamente gli sforzi per contrastare il cambiamento climatico.
Gli Etf su Bitcoin hanno suscitato un entusiasmo immediato, con un boom di scambi del valore di 4,6 miliardi di dollari nella seduta di debutto e flussi netti positivi di 1,4 miliardi in due giorni. Secondo Standard Chartered Bank, si prevedono flussi “ragionevoli” tra 50 e 100 miliardi di dollari nel 2024, con un potenziale raddoppio del prezzo del Bitcoin entro la fine del 2025, arrivando a 200.000 dollari.
Questo successo potrebbe comportare rischi non solo per l’ambiente, considerando l’impatto del mining di Bitcoin, ma anche per la sicurezza energetica in alcune regioni del mondo. Ragion per cui la Cina da due anni ha vietato il mining di criptovalute sul territorio (a dire il vero senza grandi risultati).
Cos’è il mining
Il “mining” è il processo attraverso il quale nuovi blocchi di transazioni vengono aggiunti alla catena di blocchi (blockchain) di una determinata criptovaluta. Questo processo è essenziale per la validazione delle transazioni e per la sicurezza della rete. Il Bitcoin è una delle criptovalute più conosciute che fa uso del processo di mining per la creazione di nuovi blocchi e la gestione delle transazioni.
Per minare Bitcoin si utilizza la potenza di calcolo dei computer per risolvere complessi problemi matematici. Una volta che un “minatore” risolve con successo un problema, ha il diritto di aggiungere un nuovo blocco di transazioni alla blockchain. In cambio di questo lavoro, il minatore può essere ricompensato con nuove unità della criptovaluta in questione e con le commissioni delle transazioni incluse nel blocco. Tutto questo minare comporta però un notevole consumo di energia che rischia di impattare notevolmente sull’ambiente. Per questo alcune criptovalute stanno esplorando alternative al mining tradizionale, come il Proof of Stake (PoS), per ridurre l’impatto ambientale associato a questa attività.
Secondo uno studio di Scientific Reports, la produzione di Bitcoin è considerata una delle industrie più inquinanti del mondo. Tra il 2016 e il 2021, il Bitcoin è stato associato a danni climatici stimati in 12 miliardi di dollari, mettendolo sullo stesso piano di impatto ambientale di settori come il petrolio e la produzione di carne bovina.
Bitcoin: 140 Terawattora consumate in un anno
Secondo Digiconomist, nel corso dell’anno scorso, il mining di Bitcoin ha consumato circa 140 Terawattora di elettricità a livello globale, il doppio rispetto al 2022 e approssimativamente equivalente al consumo energetico dell’intera Italia in sei mesi o al consumo annuale di energia in Ucraina.
La criptovaluta, prodotta per circa il 60% attraverso fonti fossili, ha generato circa 77 milioni di tonnellate di anidride carbonica nell’atmosfera in dodici mesi. Queste emissioni sono paragonabili a quelle di un paese petrolifero come l’Oman emissioni e – come riporta anche il Sole 24 Ore in un articolo di Sissi Bellomo – sono paragonabili a quelle di 16-17 milioni di auto a benzina. Il risultato di una singola transazione di Bitcoin è di 469,07 kg di CO2 equivalente all’impronta di carbonio di 1.039.623 transazioni VISA o 78.178 ore di visione di YouTube.
Enormi anche i consumi di acqua
Anche i consumi di acqua legati alla creazione di Bitcoin non sono da sottovalutare: 2.170 miliardi di litri di consumo di acqua dolce, equivalente all’uso totale dell’acqua della Svizzera. Una singola transazione di Bitcoin costa la stessa quantità di acqua di una piscina domestica.
Un altro studio condotto dall’United Nations University Institute for Water, Environment and Health (Unu-Inweh) ha confrontato l’impronta di carbonio del Bitcoin nel periodo 2020-2021 con quella di 190 centrali a gas. Per compensare le emissioni generate da Bitcoin sarebbe stato necessario piantare 3,9 milioni di alberi, coprendo un’area equivalente a quella della Svizzera.
Negli Usa regna l’entusiasmo senza pensare ai rischi
Negli Stati Uniti al momento non si pensa alle possibili conseguenze ma si guarda solo con entusiasmo allo sbarco del bitcoin a Wall Street. Attualmente, la situazione preoccupante riguardo al mining di criptovalute si evidenzia soprattutto in Texas, dove la crescente concentrazione di minatori di criptovalute si scontra con reti elettriche insufficienti, portando a blackout frequenti.
L’uso di energia rinnovabile, citato da alcuni miner di criptovalute, al momento non costituisce una soluzione efficace, secondo Ben Hertz-Shargel, responsabile globale del settore “grid edge” di Wood Mackenzie. A differenza dei grandi centri di calcolo di aziende come Amazon, Meta o Google, i computer utilizzati per il mining di Bitcoin attualmente non dispongono di impianti di generazione dedicati. “Ogni unità di energia pulita che proviene da centrali eoliche o solari della zona semplicemente viene tolta ad altri utenti. L’effetto netto è che la domanda complessiva sulla rete aumenta e deve quindi essere soddisfatta con il dispacciamento di elettricità da fonti fossili, costosa e con alte emissioni” spiega Hertz-Shargel che stimava già all’inizio del 2023, in Texas, che il mining di criptovalute richiedesse un’quantità “strabiliante” di elettricità dalla rete, pari al 27% del fabbisogno totale di picco.