L’Italia è un paese frammentato tra tanti dualismi: tra Nord e Sud, tra mercato e assistenzialismo statale, tra giovani pensionati e giovani disoccupati, tra istituzioni in perenna lite, tra partiti politici in continuo conflitto non solo tra destra e sinistra ma anche all’interno delle opposte coalizioni. In questo contesto, per la prima volta nel dopoguerra lo scorso anno ha vinto le elezioni un partito che si richiama esplicitamente alla destra. Giorgia Meloni è andata al Governo sostenuta anche dalla Lega di Salvini, che ha scelto di insidiarla alla sua destra, e da Forza Italia che invece, specie dopo la scomparsa del suo fondatore, si proclama un partito moderato di centro. Che farà Meloni? Come cercherà di evitare gli errori commessi dai suoi predecessori di destra ma anche da quelli di sinistra? Per ora, dopo un anno di governo, le carte non sono state tutte scoperte. Anzi, la premier sembra oscillare tra affermazioni che puntano verso un approdo di tipo liberal conservatore e decisioni politiche che ricordano i vecchi tic di una destra nazionalista e statalista.
Quali alternative per la Meloni
Per capire quali siano le alternative a disposizione della Meloni, bisogna ripercorrere la storia della nostra democrazia, che in generale non è riuscita né a fare i conti con il passato né a costruire una solida adesione di massa al sistema repubblicano, ai sui partiti e allo spirito della Costituzione. In questo quadro va osservata soprattutto la potenziale base elettorale della destra, lasciata a lungo senza rappresentanza politica. Sono infatti falliti tutti i tentativi di costruire un partito conservatore moderno, basato su principi liberali, su uno Stato meno invadente, sul riconoscimento del merito come base della mobilità sociale.
Le caratteristiche della destra per lo storico Paolo Macry
Lo storico Paolo Macry, professore emerito all’Università Federico II di Napoli, si è cimentato nell’arduo compito di individuare caratteristiche ed evoluzione della destra, mettendo in luce i fenomeni sociali e politici che hanno caratterizzato il nostro sistema e che sono tra le principali cause del crollo di credibilità della nostra politica agli occhi dei cittadini elettori. Il lungo saggio (La destra Italiana – Da Guglielmo Giannini a Giorgia Meloni. Laterza Editore) è ricco di illuminanti osservazioni, non solo sulla vita dei partiti che hanno dominato la scena dopo la caduta del fascismo, ma anche sul carattere degli italiani, sulle divisioni vecchie e nuove che attraversano la società, sulla difficoltà che partiti laici e non confessionali hanno avuto nel cercare di tenere insieme istanze e aspirazioni diverse e spesso contrapposte. C’è riuscita per lunghi anni la DC anche se, per mantenersi in sella, ha fatto ricorso a quella che lo storico Piero Craveri ha definito l’arte del non governo. Il partito cattolico italiano aveva assorbito il popolo dei moderati, coloro che non erano stati ferventi fascisti, cioè quella zona grigia della società che, di fronte ai grandi dilemmi, resta neutrale in attesa di salire sul carro del vincitore con più o meno convinzione. Ma pure il tentativo di De Gasperi, di fare della DC un partito liberal-conservatore, venne contrastato dall’interno dai tanti cattolici che vedevano il mercato e la proprietà privata con sospetto.
Il ruolo del PCI e il crollo del vecchio sistema politico
Se poi molti italiani votavano DC “turandosi il naso”, la responsabilità era anche del PCI che non aveva saputo staccarsi dall’URSS nemmeno dopo la rivolta ungherese del ‘56, soffocata nel sangue dai carri armati sovietici. Con una operazione culturalmente egemonica, il PCI inoltre aveva portato a far considerare democratici tutti i partiti della Resistenza e a classificare come fascismo tutto l’anticomunismo. Questo ha bloccato il sistema politico italiano, impendo la nascita di un anticomunismo liberale, e quindi lasciando senza una collocazione politica milioni di italiani moderati e di destra. Un elettorato vagava qua e là insoddisfatto e sfiduciato nei confronti sia dei partiti sia del sistema istituzionale inefficiente e inefficace.
Non a caso, dopo il crollo del muro di Berlino e le inchieste di Tangentopoli, il vecchio sistema politico è crollato e son venuti fuori – come ben descrive Macry – i partiti personali. Sopratutto a destra, Berlusconi ha vita a un partito populista basato sia sull’antipolitica (criticando il “teatrino della politica”) sia sull’anticomunismo e che si ammantava di un liberalismo (contro il peso dello Stato) rimasto per lo più immaginario senza poi alcu a applicazione pratica.
La Lega di Bossi
La Lega di Umberto Bossi ha sviluppato invece un populismo nordista che ha solleticato gli appetiti dei piccoli borghesi del Nord, ai quali veniva offerta la protezione da “Roma ladrona”. Con Matteo Salvini poi la Lega ha assunto caratteristiche di destra estrema presentandosi come anti Euro, anti Occidente, pro Putin. A questo punto la Lega appare in forte contrasto con gli interessi del Nord che vive di esportazioni e che vuole una società aperta e non un nazionalismo ottuso come quello proposto da Salvini.
La parentesi grillina
Dopo la parentesi “grillina”, caratterizzata da un populismo estremo, anti parlamentare e anti classe dirigente, e dopo ben due governi tecnici che sono stati necessari per evitare il fallimento dell’Italia, il popolo dei moderati che non sopporta la sinistra – accusata di stare sempre con il ditino alzato da prima della classe – si è buttato su Giorgia. Non ha avuto paura del suo passato fascista. Ha voluto provare una faccia nuova, ritenuta non compromessa con l’establishment, e ora è in attesa di vedere cosa farà davvero.
La scommessa del governo
La scommessa del nuovo governo sarà quella di staccarsi dalle vecchie eredità della destra sia quella storica sia quella populista, per fare appello agli spiriti innovativi degli italiani, quelli che hanno fatto nel dopoguerra il miracolo economico e che ora si sono affievoliti a causa di un eccesso di regolazione e controlli dello Stato, di un carico fiscale eccessivo, di una burocrazia soffocante, di una magistratura debordante.
Paolo Macry non fa pronostici. Ma è chiaro che, se la Meloni si accontenterà di governare secondo il vecchio schema degli accordi corporativi, non è destinata ad andare molto lontano. Se avrà il coraggio di rischiare una cura di cavallo per smontare protezioni, privilegi, sinecure, peso burocratico, potrà forse avere successo. Tuttavia anche gli innovatori spesso sono caduti, perché l’insoddisfazione di quanti vengono sloggiati dalle loro nicchie è più forte dell’approvazione di quanti dovrebbero godere, magari con il tempo, dei vantaggi delle liberalizzazioni.