Il Paese emergente che più importa dall’Italia? La Russia, per 2.722 miliardi di euro. Quello che, nel quinquennio 2013-2018, incrementerà maggiormente la quota di import dal Belpaese? L’India, dell’82%. Quello, in Europa, che importa più prodotti alimentari made in Italy? La Polonia, che nel 2018 con 238 miliardi stimati avvicinerà la quota di mercato cinese. Il Paese che più sceglie lo stile italico per arredare le proprie case? L’Ucraina, dove sul totale dell’import dell’arredamento, il 36% arriva dall’Italia.
Sono alcuni dei dati emersi dallo studio confezionato da Prometeia e dal centro Studi Confindustria, “Esportare la dolce vita”, realizzato elaborando i dati incrociati di Eurostat, Global Insight e degli Istituti nazionali di statistica. Dall’analisi spicca innanzitutto una certezza: il “bello” e il “ben fatto”, tipici del know how e dell’eccellenza della tradizione italiana e della sua immagine a livello globale, continuano a piacere e soprattutto piacciono ai Paesi in via di sviluppo.
L’importanza di farsi “amici” Brics e similari, più ancora dei mercati maturi occidentali che per alcuni anni continueranno a stagnare senza offrire significativi sbocchi commerciali, è tutta in un dato: dei 194 milioni di “nuovi ricchi” (individui con reddito pro-capite di almeno 30mila dollari) da qui al 2018, 161 arriveranno proprio dai Paesi emergenti, di cui circa la metà del totale da Cina (+67 milioni), India (+24 milioni) e Brasile (+8 milioni).
È dunque proprio da questi Paesi, storicamente innamorati del made in Italy, che arrivano e continueranno ad arrivare le migliori opportunità per le aziende italiane. “L’importante è non farseli scappare, perché l’Italia deve continuare a fare l’Italia”, ha spiegato Alberto Meomartini, presidente di Assolombarda, nella cui sede era ospitata la presentazione della ricerca. Oppure, se ne potrebbero persino conquistare di nuovi, di potenziali clienti. Che magari già sognano l’Italia attraverso un film, una squadra di calcio, una macchina sportiva, una scarpa di tendenza o la sua gustosissima cucina e che adesso iniziano ad avere i mezzi per potersele permettere.
Tra questi l’unico Paese europeo è la Turchia, già terzo importatore mondiale di oreficeria e gioielleria dall’Italia dietro a Emirati Arabi Uniti e Cina, e primo in Europa davanti alla Russia (163 miliardi stimati nel 2013 contro 50). La Turchia, insieme alla Polonia ma ancora di più per margini di crescita, è l’emergente europeo per eccellenza: quello, nel vecchio continente, che sfornerà più “nuovi ricchi” nei prossimi cinque anni. Tre milioni, sui livelli del Regno Unito e molto di più degli 1,8 milioni della Francia o di altri Paesi che probabilmente da qui al 2018 produrranno più poveri che benestanti.
Un mercato florido, quello turco, ma non l’unico. Secondo un parametro calcolato dagli autori della ricerca, la soglia di Pil pro-capite per iniziare a potersi permettere il “bello” e “ben fatto” in arrivo dallo Stivale è di 8.426 euro: e dunque ecco avvicinarsi nuovi possibili acquirenti dal Messico, dalla Malesia, dal Kazakistan o dal Vietnam. Secondo i dati di Global Insight gli ultimi tre Paesi citati saranno quelli che nel quinquennio 2013-2018 vedranno di più crescere Pil e consumi, collocandosi tra il +5 e il +6%, dietro solo alla Cina e davanti ad altri Brics storici come Russia e Brasile.
In quel caso però la certezza della partnership è ancora tutta da conquistare. Mentre infatti dei 16.511 miliardi di importazioni totali della Russia nel 2012 oltre 2.500 provenivano dall’Italia, e dei 10 miliardi scarsi della Cina più di mille erano targati Belpaese, la percentuale nei cosiddetti nuovi emergenti è molto più bassa: Kazakistan e Malesia importano per circa 4mila miliardi di euro dal mondo, ma solo per rispettivamente 162 e 54 miliardi dall’Italia, mentre il Vietnam è fermo a 23 sui 3mila e passa complessivi.
E non va meglio nelle previsioni: il Kazakistan nel 2018 importerà per 432 miliardi dal mondo tra occhialeria, oreficeria e gioielleria, ma solo per 13 miliardi dall’Italia. Tra ostacoli (barriere protezionistiche in molti Paesi, specie nel sudamerica) e opportunità (la Cina che cresce meno ma che sta puntando sul boom dei consumi delle famiglie), la vera sfida è anche culturale: per conquistare i nuovi mercati serve produrre, innovare, ma anche continuare a piacere. Prima ancora di esportare un prodotto, se ne esporta l’idea. Anche tramite, ed è questa la curiosa novità dello studio Prometeia-Confindustria, il veicolo culturale: negli ultimi 11 anni la vendita di diritti di libri italiani all’estero è infatti cresciuta del 157%, segno inconfondibile che dall’estero hanno sempre più voglia di lifestyle italiano.