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“Eresie, esorcismi e scelte giuste per uscire dalla crisi”: anche la possibilità di dire no all’euro

M come Manovra, il mistero della politica economica italiana si chiama così. Anzi, per la precisione, Manovra Correttiva. Tutti la fanno, sia chiaro, nel senso che tutti i governi una volta l’anno aggiustano il rapporto tra entrate e uscite dello stato, provando a riportare in equilibrio il disavanzo. Pochi ci sono riusciti, ma nessun paese può vantare, per così dire, l’incredibile record italiano. Dal 1963 quando si manifesta la prima seria crisi nella bilancia dei pagamenti, corretta dal duo Carli-Colombo (Guido Carli alla Banca d’Italia a tirare i freni della moneta ed Emilio Colombo al Tesoro a stringere le viti del bilancio pubblico) ogni anno vengono annunciate manovre seguite per lo più da correzioni e ogni anno crescono le entrate fiscali, mentre le uscite dell’amministrazione centrale e periferica corrono ancora più veloci. Una spirale che ha portato il debito pubblico a raddoppiare dal 60 al 120 per cento del prodotto lordo (con un intervallo tra il 1994 e il 2001, troppo breve e non sufficiente). I due picchi, per la quantità inizialmente coinvolta, sono quelli del governo Amato nel settembre 1992 e dai governi Berlusconi-Monti nel 2011. In mezzo, ci sono prelievi che nel loro insieme hanno superato il 25 per cento del prodotto lordo. Eppure, austerità dopo austerità, i conti dello stato sono peggiorati fino a diventare insostenibili.

La manovra correttiva, così, è diventata “la madre di tutti gli esorcismi della politica”. Lo scrive Paolo Savona nel suo ultimo libro (Eresie, esorcismi e scelte giuste per uscire dalla crisi, Rubbettino, 2012, pagg. 102, 12 euro). Citando le valutazioni del Fondo monetario internazionale sulle manovre realizzate dal 1991 al 2007, alla vigilia della grande crisi, ne mette in fila ben 13. “In questo arco di tempo, le entrate fiscali sono passate dal 30 al 43% del Pil e le spese hanno registrato sempre qualche punto in più. Per il 2013 ci è stato promesso il pareggio del bilancio. Avremo occasione di verificare se sia una promessa seria o il solito esorcismo”. Anche a voler essere fiduciosi nella competenza dei tecnici al governo, l’esperienza non aiuta. “Manovra dopo manovra – scrive Savona – la promessa è sempre quella che verrà tagliata la spesa pubblicaalla fine però, nelle diverse versioni della proposta e da quella che esce dal Parlamento, l’aumento delle tasse è spot, il taglio delle spese differito e pian piano ridimensionato, se non proprio dimenticato“. Come mai?

Per capirlo bisogna passare in rassegna le “eresie” che Savona impietosamente mette insieme, l’una dopo l’altra. Con un percorso indietro nel tempo che risale alla nazionalizzazione dell’energia elettrica nel 1962, passa per lo Statuto dei lavoratori, le riforme sanitaria e pensionistica, la perdita della grande industria, il rifiuto di considerare il debito pubblico una tassa differita, fino alla ricerca del vincolo esterno che ci portasse fuori dai nostri guai con il Trattato di Maastricht e “l’ingresso precipitoso nell’euro”. Economista al fianco di Carli in Banca d’Italia e poi in Confindustria come direttore generale, ministro nel breve governo Ciampi, docente universitario, Savona ha visto srotolarsi davanti a sé una dopo l’altra le illusioni di un’Italia che oggi fatica a mantenere la propria quota nel commercio mondiale, perde prodotto e, soprattutto, reddito pro capite. Per quanto resti un paese ricco, il fieno messo in cascina comincia a ridursi, si ridimensiona il tasso di risparmio, cadono gli investimenti, ristagnano i salari. Altro che manovre, per risalire la china occorrono correzioni di carattere strutturale, che aggrediscano gli snodi della economia reale.

La più grande delle delusioni è l’euro: così come è stato costruito e gestito, non ci ha aiutato. O meglio, è stato un fattore di stimolo importante negli anni della sua costruzione, dal 1998 al 2000. Ha prodotto difficili anche dolorosi aggiustamenti nel primo triennio della sua esistenza, ma dal 2008, con la grande crisi finanziaria, ha manifestato le sue contraddizioni. Una su tutte: è una moneta senza sovrano, all’unione monetaria non è seguita una unione nelle politiche fiscali, tanto meno l’unione politica. Il fiscal compact, così come è stato concepito, non colma il gap, ma aggiunge eresia ad eresia. “Non so se gli italiani e i loro dirigenti si rendono si rendono conto – scrive Savona . del cul de sac in cui si sono infilati denominando il proprio debito pubblico in una moneta che non creano”, scambiando ” l’effetto calmierante dell’euro sui tassi dell’indebitamento pubblico e l’ampliamento dell’area di collocamento delle emissioni come un riflesso di una Italia senza problemi di finanza statale”.

Dunque, non è l’Europa che ci può tirar fuori dall’abisso, dobbiamo contare sulle nostre forze. “Le alternative per noi di uscire dalla morsa del debito pubblico sono (a) di cedere il patrimonio pubblico per estinguere almeno in parte l’indebitamento in essere o forme dagli effetti analoghi (b) di ottenere la riforma dello statuto della Bce in materia di interventi sui debiti sovrani in caso di attacchi speculativi, ponendo come collateral l’immensa ricchezza dell’Italia ( c) di dichiarare default o offrire di rimborsarlo con una nostra nuova moneta alla parità inizialmente dichiarata (1936,27 lire per euro)”.

Savona chiede un “piano B” che preveda anche la possibilità di uscire dall’euro, scontando un periodo di vero e proprio sconquasso, bilanciato in parte con un recupero di competitività delle nostre esportazioni. E’ in realtà una sorta di proposta di ultima istanza, per aumentare il potere contrattuale sullo scacchiere europeo. “La Bce deve avere la possibilità di usare i tre canali di creazione della base monetaria (estero, tesoro e banche) sotto vincolo di creazione monetaria non inflazionistica”. Perché in realtà per noi l’euro ormai è come l’amata per Ovidio il quale scriveva: “Non posso vivere con te, ma nemmeno senza di te”. Monti, fatti i compiti a casa, deve fare anche quelli fuori casa. Ci sono alcuni segnali positivi. Uno dei più importanti è il suo viaggio negli Stati Uniti. Perché tra le eresie messe alla gogna da Savona ce n’è una altrettanto pericolosa: pensare che l’Europa possa fare da sola senza gli Usa e che l’euro possa prosperare senza (o addirittura contro) il dollaro. Lasciamo a Sarkozy certe ebbrezze tardo-golliste, Ue e Usa si salvano insieme.

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