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“Era Trump: dobbiamo convivere con il mondo che cambia”. Parla l’ambasciatore Valensise, nuovo presidente Iai

Imagoeconomica

“Non possiamo più pensare di vivere nel mondo che avevamo venti o trenta anni fa, dobbiamo imparare a convivere con una nuova realtà che la nuova amministrazione americana ci obbliga ormai a guardare in faccia, un’amministrazione che sembra voler superare il multilateralismo e considera l’Europa soggetto sempre meno rilevante”. Parla Michele Valensise, ambasciatore, già segretario generale della Farnesina dopo avere guidato le ambasciate di Sarajevo, di Brasilia e di Berlino e, da ieri, nuovo presidente dell’Istituto Affari internazionali (IAI) diretti negli ultimi anni dall’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci. 

Il Trump che abbiamo visto far uscire gli Usa dall’Oms (e forse in futuro anche dal Wto) inaugura un nuovo mondo e rischia di mettere una pietra tombale sul sistema multilaterale creato con gli accordi di Bretton Woods e la carta di San Francisco?

“Speriamo davvero che non si tratti di una pietra tombale. Certo tutti conosciamo – e non da oggi – la scarsa fiducia che Trump ha sempre riposto nei meccanismi multilaterali privilegiando un approccio bilaterale. Se questo significherà nel medio lungo termine la fine del sistema multilaterale che ha governato il mondo finora è da verificare passo dopo passo”.

L’attenzione soprattutto in Europa è alle misure annunciate sui dazi. Cosa dobbiamo attenderci?

“Anche qui ci troviamo su un terreno nuovo ma l’insistenza di Trump nel sottolineare gli svantaggi degli Stati Uniti sul fronte del commercio soprattutto nei rapporti con l’Europa non tiene conto del fatto che ad esempio nei servizi finanziari i rapporti tra le due sponde dell’Atlantico sono a favore degli Stati Uniti”.

Una partita ancora più impegnativa è quella che riguarda la nuova normativa europea sui giganti del web. Si può immaginare un negoziato che veda insieme dazi e Big Tech?

“È vero che in prima fila all’Inauguration day abbiamo visto tutti i leader delle Big tech schierati per rendere omaggio a Trump. Ma al di là della foto occorrerà verificare in concreto all’interno dell’amministrazione Usa quali saranno gli effettivi rapporti con i grandi gruppi, non solo il rapporto tra Trump e Musk. Poi ci sarà da regolare il rapporto con l’Unione europea. Anche qui sarà importate avere una posizione coesa di tutta l’Europa che superi le diverse sensibilità e preoccupazioni tra gli Stati membri. Il problema è che la nuova amministrazione considera l’Europa un soggetto politico non rilevante. Trump non riconosce l’Europa in quanto tale, all’epoca applaudì all’uscita del Regno Unito dell’Ue. Ma l’Europa non può certo rinunciare a 70 anni di storia e di coesione che hanno prodotto pace e prosperità anche al di fuori del continente”.

Il rapporto diretto e privilegiato di Trump con la premier italiana Meloni è un elemento che rafforza o indebolisce l’Europa e i rapporti transatlantici?

“Che ci sia un rapporto stretto di dialogo con gli Stati Uniti è un fatto positivo. Adesso la sfida è riuscire a far valere questo rapporto degli Stati Uniti con l’Italia e con alcuni altri Paesi europei a nome dell’Unione europea”.

Il probabile nuovo cancelliere tedesco Friedrich Merz sembra escludere l’Italia dal gruppo di testa della Ue che vedrebbe oltre a Francia e Germania la Polonia e non l’Italia. È uno scenario possibile?

“Il probabile futuro cancelliere tedesco Merz ha da sempre una posizione molto atlantista e lavorerà per un rapporto stretto con gli Stati Uniti. Non vedo atteggiamenti preclusivi nei confronti del nostro Paese. Tra Italia e Germania il rapporto è di grande integrazione e interdipendenza, che non può che esserci tra Paesi con le due principali industrie manifatturiere europee. Con la Polonia la Germania ha un rapporto imposto dalla geografia e dalla storia, che non significa però una necessaria marginalizzazione dell’Italia”.

Un altro capitolo è quello della spesa per la sicurezza all’interno dell’Alleanza Atlantica. L’Italia è ancora lontana dall’obiettivo del 2%. Come potremo colmare questo gap?

“L’aumento delle spese militari non è certo una invenzione di Trump, data almeno dal vertice Nato di 11 anni fa nel Galles. Dobbiamo essere pronti a rispondere a questa richiesta non certo portandola nel breve termine al 5%, obiettivo per noi irrealizzabile, ma promuovendo una tendenza all’aumento progressivo, non solo in termini di quantità ma anche di qualità della spesa. È in atto un processo profondo: anche alla luce dell’aggressione russa contro l’Ucraina, dobbiamo essere consapevoli che è cambiato il rapporto tra chi produce sicurezza e chi la consuma”.

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