Nel corso degli ultimi anni, a causa degli effetti della crisi finanziaria del 2007-2008 e della ridotta capacità del sistema bancario di agire come unica fonte di finanziamento, le imprese italiane hanno intensificato il proprio ricorso ai mercati internazionali dei capitali, sia per rifinanziare il debito bancario esistente sia per sostenere la proprie prospettive di crescita. Tale fenomeno è ancor più significativo se inquadrato nel contesto economico del nostro Paese, storicamente caratterizzato da un eccessivo peso del credito bancario convenzionale rispetto alle fonti di finanziamento alternative.
Sono queste alcune delle evidenze dello studio realizzato dal Dipartimento Baffi Carefin dell’Università Bocconi redatto in collaborazione con Equita SIM che sono state oggetto di analisi nel convegno tenutosi ieri a Milano dal titolo “Does investing in Italian capital markets pay? The past decade perspective – Presentazione della Ricerca”, che ha visto la partecipazione istituzionale di Carlo Calenda ministro dello Sviluppo economico, oltre a quella di Gianmario Verona Rettore Università Bocconi, Andrea Vismara Head of Investment Banking Equita SIM, Alessandro Profumo Presidente Equita SIM, Nerio Alessandri Presidente e Amministratore Delegato Technogym, Tommaso Corcos Presidente Assogestioni e Amministratore Delegato Eurizon Capital SGR, Anna Gervasoni Direttore Generale AIFI, Francesco Perilli Amministratore Delegato Equita SIM e Guido Rivolta Amministratore delegato CDP Equity.
Le protratte difficoltà del nostro sistema bancario – si legge ancora nelle conclusioni dello studio – hanno ulteriormente rafforzato l’importanza dei mercati dei capitali e, per la prima volta da diversi anni, i mercati hanno guadagnato un ruolo di riguardo anche nella definizione delle politiche economiche dei più recenti governi. In tale contesto di accresciuto bisogno di raccogliere capitali – nonostante il mercato azionario italiano sia stato nel suo complesso negativamente impattato dalle performance del settore bancario – molte aziende italiane hanno registrato buone performance e spesso i titoli da queste emessi negli ultimi 10 anni sono stati fonte di profitto per gli investitori.
Lo studio – presentato da Stefano Caselli Prorettore per l’internazionalizzazione Università Bocconi e Baffi Carefin e Stefano Gatti Direttore Full Time MBA, SDA Bocconi e Baffi Carefin – sottolinea inoltre come l’equity italiano avrebbe garantito agli investitori rendimenti interessanti se essi avessero effettuato un efficace stock picking e, piuttosto, si fossero focalizzati sulle imprese di medie dimensioni, appartenenti ai settori dell’eccellenza industriale italiana (come Moda, Food & Beverage e Automotive, insieme ad altri player emergenti nel campo dell’e-commerce) e con fondamentali robusti. Ad esempio, il FTSE STAR, indice che include la maggior parte delle medie imprese più virtuose appartenenti ai settori strategici dell’industria italiana, ha mostrato una performance buy-and-hold del 2% medio annuo a cui si deve sommare un ulteriore 2,7% medio annuo relativo ai dividendi distribuiti.
In linea con i risultati ottenuti nell’ambito dell’equity quotato, anche gli investimenti in private equity italiano avrebbero offerto nel corso del periodo considerato ottime possibilità di rendimento. Secondo i dati riportati da AIFI e KPMG, l’IRR medio lordo nel corso degli ultimi 10 anni è stato dell’8,8% annuale. Questo risultato deve essere letto ancor più positivamente perché ottenuto in un contesto di accresciuta difficoltà di disinvestimento, conseguente al fatto che a inizio periodo i fondi avevano acquistato a multipli d’ingresso più elevati favoriti dalla facile accessibilità ai finanziamenti nel periodo precedente la crisi. Passando poi al mercato dei debito, la tendenza generale è stata quella di un calo nei rendimento per le obbligazioni corporate italiane.
Questo calo indica, in circostanze normali, un miglioramento della qualità del credito degli emittenti. Al contrario, sia gli emittenti finanziari sia quelli industriali sono stati colpiti da un deterioramento del rating, per lo più legato alla crisi economica. Tale incoerenza è spiegata dalle straordinarie misure di politica monetaria messe in campo dalla BCE. In ottica relativa, le obbligazioni corporate italiane hanno garantito rendimenti più elevati rispetto ad altri paesi europei, per lo più spiegati dalla crisi del debito sovrano e da un più elevato rischio paese, nonostante la solidità dei fondamentali delle imprese (dimostrato dalla bassissima incidenza di fallimenti durante la grave recessione economica).
Sintetizzano – i Professori Gatti e Caselli dell’Università Bocconi – che “lo studio di quest’anno analizza in maniera più critica i luoghi comuni che caratterizzano il mercato italiano e dimostra che, anche tra le molteplici difficoltà imposte della crisi economica e finanziaria, le aziende industriali appartenenti al tessuto italiano sono state capaci di garantire rendimenti a chi in esse ha riposto la propria fiducia”.
Francesco Perilli, Amministratore Delegato di Equita SIM, commenta positivamente l’operato delle istituzioni: “Siamo molto lieti che nella legge di bilancio 2017 sia stata approvata una serie di incentivi fiscali volti ad aumentare il numero degli investitori domestici in titoli azionari e di debito di imprese italiane e che tali iniziative, per la prima volta, incentiveranno gli investitori di lungo termine sia istituzionali che retail. Ci aspettiamo che tali misure avranno un impatto significativo sui nostri mercati dei capitali e siamo sinceramente grati al governo per l’adozione di tali fondamentali interventi”.
Andrea Vismara, Head of Investment Banking di Equita SIM, individua precise iniziative da intraprendere per stimolare la crescita e l’efficienza dei mercati dei capitali tra cui: promuovere più diffusamente le performance positive delle aziende appartenenti all’eccellenza italiana; migliorare e semplificare la normativa (inclusa quella fiscale), al fine di incentivare l’utilizzo dei mercati da parte delle imprese; promuovere l’industria del risparmio gestito in Italia e la nascita di nuovi investitori domestici, in particolare di quelli di lungo periodo dedicati alle Small Caps; snellire la regolamentazione che grava sui mercati, anche attraverso la modifica o la revisione delle recenti iniziative come la Mifid 2 e la MAR; sviluppare una strategia di sostegno al settore dell’investment banking con particolare attenzione al comparto che serve anche le piccole e medie imprese attraverso la rimozione dei conflitti d’interesse tipici delle banche finanziatrici (come accade oggi nel Regno Unito) o l’incentivazione fiscale delle attività di ricerca.
Anche Alessandro Profumo, Presidente di Equita SIM, sottolinea l’importanza di un mercato dei capitali solido, necessario perché le numerose imprese virtuose italiane possano proseguire il proprio percorso di crescita e di remunerazione degli azionisti: “Nella mia esperienza professionale ho visto molte imprese italiane valide, con storie di crescita importanti e capaci di competere nel contesto europeo e mondiale dare grandi soddisfazioni a tutti i loro stakeholders, azionisti in primis. Ma anche tante imprese, specialmente piccole e a forte vocazione imprenditoriale, penalizzate nelle loro potenzialità di sviluppo dall’assenza – de facto – di fonti di finanziamento alternative al mondo bancario. Sviluppare in Italia un mercato dei capitali efficace non solo è prioritario per le imprese, ma anche remunerativo e compatibile con i rendimenti richiesti dal lato investitori. In tale contesto Equita SIM, che da oltre 40 anni è un attore forte ed innovativo nei mercati finanziari, ha molto contribuito alla loro evoluzione e si impegna a promuoverne lo sviluppo futuro”.