L’Eni potrebbe uscire dal South stream, ma non è interessata al Tap. La possibilità di un inversione di rotta, rispetto ai piani attuali, è stata ufficializzata ieri dall’amministratore delegato Claudio Descalzi, in audizione alla commissione Industria del Senato sulle nuove strategie del gruppo. SouthStream, il gasdotto che porterà il gas dalla Russia in Europa e di cui Eni ha una quota del 20%, “ha una sua valenza, un suo valore. Per quel che ci riguarda – ha affermato – dobbiamo guardare i nostri conti. O l’Eni riesce a mantenere il suo impegno budgetario di 600 milioni o i conti verrebbero ad essere messi in pericolo. Eni non spenderà più di quello messo in budget, abbiamo l’opportunità contrattuale di uscire e la valuteremo”.
Descalzi ha poi ricordato che il gasdotto “doveva essere finanziato al 70% con project financing e 30% equity e la nostra esposizione era fissata in 600 milioni. Ora i soci stanno facendo fatica a trovare finanziamenti”. Quindi, chiarisce Descalzi, se si andasse al 100% equity “Eni mai e poi mai potrebbe, con l’attuale situazione, mettere 2,4 miliardi sulla realizzazione di SoutStream. I conti sarebbero un po’ a rischio”. L’ad di Eni ha poi aggiunto: “SouthStream sarà fatto anche senza Eni, saranno mantenuti i contratti di Saipem e avremo il gas”.
L’eventuale uscita di Eni dal South Stream è comunque una rivoluzione copernicana per l’Eni e dà la misura di come Claudio Descalzi voglia indirizzare il nuovo corso della società. In molti si chiedono, inoltre, se un ripensamento dell’Eni sul South Stream potrebbe preludere ad un avvicinamento del Cane a sei zampe al Tap, Trans adriatic pipeline che porterà il gas dall’Azerbaijan in Italia, passando da Turchia e Grecia. Quindi, bypassando la Russia. I rumors corrono ma fonti Eni chiariscono che “non è in corso alcuna valutazione su un eventuale ingresso nel progetto relativo al gasdotto Tap”.
Se è certamente questa la novità più rilevante dell’audizione di Descalzi, il manager ha poi confermato la riduzione del debito Eni a 15 miliardi entro fine anno. Le misure messe in cantiere, con l’aumento della generazione di cassa, portano verso il raggiungimento dell’obiettivo. “Nell’Exploration and Production sono in vista grossi investimenti e grosse aspettative in termini di flusso di cassa”, ha infatti proseguito. “Negli ultimi sei anni nell’E&P siamo stati i migliori”, sottolinea ancora il numero uno Eni. “Tra il 2008 e il 2013 abbiamo scoperto 9,5 miliardi di barili. Abbiamo scoperto 2,5 volte la nostra produzione. Ci siamo assicurati il nostro futuro”. Solo l’Exploration & Production ha conservato bilanci in utile, nel periodo. Le altre divisioni hanno perso 10 miliardi di cui 2,2 nel gas e 2,3 nella chimica. Nello stesso periodo, la raffinazione lasciava sul campo ben 6 miliardi.
Un cambio di rotta si rende dunque necessario, avvisa l’Ad Eni, senza sottovalutare il rischio geopolitico e la difficile congiutura del petrolio, anche in termini di prezzo. Se Eni prevede un valore del greggio stabilizzato sui 90 dollari, nel settore petrolifero a livello mondiale “si è arrivati a perdere circa 3,3 milioni di barili di olio al giorno per cause geopolitiche, per i disordini che ci sono nei vari Paesi. Nel giro di quattro-cinque anni – ha sintetizzato – la situazione sia sull’olio che sul gas è completamente cambiata”.
L’altra parte rilevante dell’audizione ha riguardato il nodo della raffinazione. Il settore, ha spiegato Descalzi “è alla nostra grandissima attenzione” anche perché “dal 2009 ad oggi abbiamo perso 6 miliardi di euro. Il problema va affrontato”. A Venezia, ha aggiunto, “abbiamo trasformato la raffineria in una raffineria verde” mentre per Gela “siamo in discussione costruttiva con la Regione Sicilia, il sindacato e il Governo per fare un progetto analogo a quello di Venezia”. “Ci siamo dati dei paletti: non vogliamo lasciare il territorio, non vogliamo impattare l’occupazione, non vogliamo ridurre il nostro personale, e nel caso della Sicilia non vogliamo impattare sull’indotto. Vogliamo trasformare – aggiunge l’ad – un’industria in un’altra: produciamo del bio fuel che ha e avrà un mercato sempre superiore. Cerchiamo di fare qualcosa, non chiudere e andare via”.
A Taranto, sottolinea Descalzi “abbiamo grosse perdite: ne stiamo discutendo al nostro interno per capire che progetto possiamo fare, sempre mantenendo il nostro obiettivo di salvaguardare l’occupazione”. Anche per Livorno, aggiunge, “stiamo discutendo”. L’obiettivo, conclude l’ad di Eni, “è andare a pareggio nel settore raffinazione e marketing per fine 2015. Un’obiettivo molto ambizioso”.
Tutto però deve fare i conti con la lentezza nei processi autorizzativi. Sulle bonifiche Eni sarebbe pronto ad investire 500 milioni ma l’attesa per le autorizzazioni a Eni “costa circa 100 milioni l’anno, che sono tanti per mantenere i siti mentre si aspetta di fare la bonifica. Sarebbe meglio spenderli per sviluppare altre cose”. Infine, Saipem: Descalzi ha escluso l’ipotesi di uno “spezzatino” nell’ambito della cessione della società.