Gela e Porto Marghera, due luoghi simbolo di una certa industrializzazione i cui impatti sull’ambiente sono passati alla storia, cambieranno volto. Quando? Nei prossimi anni, investendo solo a Marghera 470 milioni di euro. L’Eni e Versalis sono al lavoro per raggiungere obiettivi sostenibili, nonostante i dubbi delle organizzazioni sindacali. L’Amministratore delegato di Versalis Adriano Alfani è andato in audizione alle Commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera per spiegare il programma di lavoro. Sullo sfondo la necessità di non perdere il treno della transizione ecologica. La sua illustrazione ha coinciso anche con una nuova presa di posizione dei sindacati, che sui piani di riconversione dei vecchi siti hanno dubbi a non finire. Eppure il Ceo di Eni Claudio Descalzi, nel recente incontro con Draghi e Cingolani, ha confermato tutte le opzioni del gruppo nel passaggio a produzioni green. Oltre tutto Eni lavora per diventare proprietaria anche di nuove tecnologie ecosostenibili.
Si tratta di valutazioni di medio lungo periodo, mentre dalle due aree industriali – siciliana e veneta – arriva la richiesta di accelerare i passaggi in totale trasparenza. La Versalis, in particolare, pensa a nuovi poli di trasformazione della vecchia chimica. Per Gela si pensa al biojet, per Marghera ad un sito di riciclo delle plastiche, ad un hub logistico per la distribuzione di prodotti e ad un centro per la manutenzione per i siti italiani. «Marghera fa parte della strategia di trasformazione di Eni, che avverrà con numerose iniziative», ha detto Alfani annunciando la chiusura degli impianti del cracking e degli aromatici. Non ci saranno conseguenze sull’occupazione, ha assicurato, perché “la trasformazione chimica è una opportunità per gestire l’intera occupazione diretta”. La motivazione strategica del piano per la laguna veneta è sintetizzata in un taglio di 600mila tonnellate all’anno di CO2 «una concreta opportunità per dare valore al sito e aumentare il valore di Eni». Un impegno alto indubbiamente che, tuttavia, bisogna valutare rispetto all’equilibrio energetico generale che sì punta alle rinnovabili, ma non seppellisce completamente le vecchie produzioni.
E il dibattito è aperto. I piani illustrati in Parlamento dal rappresentante Versalis si sono aggiunti a quelli di un altro manager: Giuseppe Ricci direttore generale di Energy evolution. L’Ansa riferisce che ai deputati delle due Commissioni, Ricci ha ricordato che a Marghera il piano di riconversione della vecchia raffineria è partito nel 2014, cosa che – va detto – non convince del tutto le organizzazioni sindacali. Ad ogni modo la via della sostenibilità deve andare avanti, perché solo in questo modo si pensa di contribuire alla decarbonizzazione. Si cerca di non perdere nemmeno l’occasione dell‘idrogeno, ipotizzando la realizzazione di un impianto di produzione. Ce la faranno? Per il 2023, comunque, dovrebbe andare tutto a regime, con un quadro economico che ha assorbito già 300 milioni di euro. I lavoratori restano prudenti. Nei giorni dell’audizione parlamentare i sindacati hanno scritto che la «paventata riconversione di Porto Marghera sia semplicemente e drammaticamente una chiusura di impianti e nulla più».
Una specie di altolà a piani ambiziosi che in un modo o nell’altro si collegano alla riconversione verde che sta per essere portata a Bruxelles. Il declino industriale di un’area storica come Marghera non sarà sicuramente accettato dalle migliaia di dipendenti, a loro volta consapevoli degli impatti eccessivi sul clima e sulla salute. Bisognerà discuterne ancora. Quello che forse ancora manca dal raffronto tra le parole dei manager e i documenti sindacali è una reciproca fiducia. Non un dettaglio. Un punto chiaro che garantisca quel salto di qualità, ovvero una buona sintesi tra sviluppo industriale e tutela dell’ambiente. Se ci riesce la più grande azienda energetica del Paese sarà tutto guadagnato. E non avremo una nuova ex Ilva.