L’emersione della storia d’impresa
La storia d’impresa sta aprendosi uno spazio importante nell’ambito degli studi storici italiani.
Esiste, però, ancora un differenziale enorme con la scuola anglosassone nella quale la storia d’impresa ha un’antica e radicata tradizione tanto da essere un campo di studi quasi a sé stante, un campo che abbraccia e influenza varie discipline limitrofe.
Basterebbe pensare all’eco che ha smosso l’ultimo libro della storica Jill Lepore, una stimata studiosa di Harvard che ha criticato le conclusioni di uno degli storici e teorici dell’impresa innovativa più influenti e riveriti del nostro tempo, il compianto Clayton Christensen.
L’ultimo lavoro della Lepore, IF THEN: How the Simulmatics Corporation Invented the Future, è un accurato studio dedicato alla storia di un’impresa talmente innovativa da essere precorritrice di Google, Facebook e Amazon.
La Simulmatics, fondata nel 1959, si prefiggeva, infatti, di trattare e analizzare i dati raccolti in vari ambiti come l’economia, la psicologia, la politica e il militare. Il lavoro dei tecnologi della Simulmaticsaveva lo scopo di predire i comportamenti dei consumatori e dei cittadini. Una sorta di Cambridge Analytica benigna. Notare che siamo negli anni sessanta dello scorso secolo!
Il libro della Lepore ha ricevuto molti riconoscimenti ed è entrato nella rosa dei sei finalisti del premio FT/McKinsey Business Book of the Year 2020.
In Italia
Peccato che gli accademici italiani non abbiamo dedicato un’attenzione simile alla storia delle imprese del nostro paese che hanno delle caratteristiche peculiari. Purtroppo un certo filone egemonico degli studi storici ha ridotto la storia d’impresa a un Dio minore.
Ci sono delle rilevanti eccezioni come Valerio Castronovo per la grande impresa, Giacomo Becattini per i distretti industriali, Giulio Sapelli che, in tempi non sospetti, ha dedicato tante risorse alla storia dell’impresa intesa come forma storica organica, sulla scia della sua esperienza diretta in Olivetti e delle teorie dei sociologi tedeschi di fine ottocento-primo del novecento.
Fuori da questi studi, ha prevalso lo specialismo, la microstoria e il case study sporadico. In ambito accademico la storia dell’impresa come forma storica è rimasta piuttosto silenziosa.
Le imprese hanno dovuto scrivere da sole le loro storie spesso commissionate a chi non aveva tutti gli strumenti per produrre un lavoro di valore storico. Spesso ne venivano fuori lavori celebrati accoltoo cronachistici, ma non meno interessanti per la storia che ci consegnavano, diversamente perduta.
Engineering
Per questa ragione va accolto con grande interesse una nuova uscita in libreria: 40 anni di Engineering. La storia di un’impresa italiana e delle persone che l’hanno costruita, di Nicola Melideo (Guerini Next con goWare per l’edizione digitale).
Engineering è una delle imprese che hanno scritto, nel solco di Olivetti, una pagina importante dell’ITC italiano. Essa è proprio alle origini dell’industria informatica nel nostro paese, avendo iniziato a operare proprio quando questo settore, così strategico, emetteva i primi vagiti.
Pubblichiamo qui sotto un estratto dal libro, la prefazione di Paolo Pagliaro.
L’introduzione di Paolo Pagliaro
La Engineering oggi
Nel 2020 la più grande azienda del settore IT, la Engineering — Ingegneria Informatica SpA, fondata da Michele Cinaglia, e giunta oggi a contare 12.000 dipendenti e circa 3.000 collaboratori, compie i suoi primi quarant’anni. Con questa cronaca si racconta la storia di questi anni, fortemente caratterizzati da un governo dell’azienda «a guida nazionale», e si introduce la stagione di una nuova gestione aziendale, quella che risulterà dall’incontro di un management storico di prim’ordine con gli orientamenti strategici dei fondi di investimento, nuovi proprietari della società.
Di questa vicenda, per molti aspetti esemplare, ci parlano le pagine scritte da Nicola Melideo, testimone e partecipe dei fatti narrati e ora scrupoloso ed equanime cronista. Sono molti i soggetti le cui storie si intrecciano nel racconto. Il primo è l’azienda, che ha dato un contributo non indifferente allo sviluppo del Paese. Al di là dei numeri (1,2 miliardi di fatturato, 65 sedi in Italia, Belgio, Germania, Norvegia, Repubblica di Serbia, Spagna, Svezia, Svizzera, Argentina, Brasile e Usa, 420 ricercatori e data scientists, una Scuola di formazione multidisciplinare che nell’ultimo anno ha erogato oltre 21.000 giornate di formazione) colpisce la qualità e l’utilità dei progetti sviluppati.
La maggior parte di essi ha un impatto pubblico, si tratti di supportare le politiche attive per il lavoro, rendere possibile la medicina a distanza, mettere in sicurezza le infrastrutture energetiche o migliorare la gestione dei rifiuti.
L’intervento nella Pubblica Amministrazione
Dopo aver contribuito a innovare il sistema bancario, Engineering è stato un partner decisivo per rendere più moderna la Pubblica Amministrazione.
Ha messo a disposizione la sua capacità di sviluppare sistemi informativi e il suo capitale umano per un business post-moderno, dove l’affidabilità ha a che fare non con i manufatti ma con la solidità di beni immateriali come la razionalità dei processi, l’efficienza, la privacy, la sicurezza.
Si ricorda, nel libro, che tra i primati che Engineering può vantare c’è anche quello di società IT italiana con il maggior numero di progetti finanziati dalla Commissione Europea.
Il sistema paese
Al lettore delle pagine che seguono può accadere, come è accaduto all’estensore di questa prefazione, di cogliere la presenza di un secondo protagonista, che è in realtà un grande assente e che, per convenzione, chiamiamo «Sistema Paese».
Non si rintracciano, infatti, nella narrazione degli eventi riguardanti Engineering, iniziative della politica miranti ad affermare il carattere strategico dell’informatica per il Paese, e ad aggregare a livello italiano, attorno alla società leader, un polo di competenze e di capacità produttive confrontabile con le omologhe realtà europee, ad esempio in Germania, Francia, Spagna.
Tuttavia, mai sentirete i protagonisti di questa straordinaria avventura imprenditoriale lamentarsi perché la loro è stata un’arrampicata in solitaria. Essi ne sono, semmai, orgogliosi. E del resto, la qualità del lascito che i fondatori della società rimettono nelle mani dei nuovi azionisti è tale che questi non potranno, forse, fare a meno di continuare l’opera avviata quarant’anni fa, realizzando, in un futuro più o me-no prossimo, una positiva e trasparente collaborazione all’interno e a beneficio del «Sistema Paese».
La politica
Se d’altra parte qui si parla di ruolo della politica è perché la politica, la buona politica, non fu affatto estranea, come si leggerà, alla nascita e allo sviluppo prima di Cerved e poi dello spin off Engineering.
Altri tempi? È vero che ora lo Stato si occupa delle imprese quasi sempre quando sono malmesse o quando sono in svendita; e che raramente gioca d’anticipo sostenendone il rafforzamento e l’espansione. Ma non mancano segnali che autorizzano caute speranze per il futuro dell’informatica nazionale e uno scenario nel quale Engineering potrà continuare a crescere.
Il ruolo dello Stato nell’economia
Nel resto del mondo si «fa sistema». Prendiamo gli Stati Uniti e il settore in cui opera Engineering. Lì vengono finanziati dallo Stato i progetti di ricerca che promettono di trasformarsi nell’innovazione tecnologica e quindi economica del futuro. L’economista Mariana Mazzuccato ha calcolato che il 75% della nuova ricchezza prodotta dal 1945 a oggi negli Stati Uniti deriva da beni e servizi che hanno incorporato la nuova conoscenza creata nei laboratori finanziati con fondi pubblici.
Attraverso le numerose agenzie governative gli Stati Uniti continuano a sostenere l’innovazione con una molteplicità di strumenti. Ci sono i finanziamenti diretti fatti tramite la società di venture capital In-Q-Tel, sostenuta dalla Cia; le ricchissime commesse pubbliche, come quelle che alimentano l’attività di Palantir nell’intelligenza artificiale; le condizioni di eccezionale favore normativo per promuovere lo sviluppo degli over the top e delle aziende tecnologiche, con generose sospensioni di imposta.
C’è il Dipartimento di Stato che promuove e difende le piattaforme in giurisdizioni che considerano illegittimi molti dei vantaggi di cui esse godono. Lo Stato innovatore non giudica illiberale la scelta di entrare nell’azionariato delle imprese strategiche: lo giudica necessario. Succede non solo in America, ma anche nei Paesi europei più avanzati come la Germania o in quelli emergenti come la Corea del Sud.
I protagonisti della vicenda
La lettura del resoconto che qui si presenta consente di conoscere i protagonisti di questa storia, le persone che hanno fatto grande l’impresa Engineering. I loro nomi sono incisi nell’albo d’oro dell’informatica italiana e tutti si ritrovano nelle pagine di Melideo.
C’è Mario Volpato, professore di matematica applicata, presidente della Camera di Commercio a Padova e fondatore nel 1974 della Cerved, uomo geniale, un visionario, tra i primi a intuire che di lì a poco sarebbe iniziata la stagione dei big data.
C’è Arrigo Abati, un altro pioniere, amministratore delegato di Engineering dopo aver partecipato alla nascita e all’affermazione di Cerved.
C’è Sergio De Vio, intellettuale raffinato e a lungo presidente della società; e c’è Paolo Pandozy, il manager sotto la cui direzione Engineering ha visto crescere le sue dimensioni ed esplodere valore e profitti.
Ci sono — infine e soprattutto — Rosario Amodeo e Michele Cinaglia, i due imprenditori che, dopo aver circumnavigato il mondo e sfidato insieme tempeste di ogni genere, non si sono accordati sul porto d’approdo e si sono detti addio per sempre.
Le idee sul futuro di Engineering
Si sono rivelate inconciliabili due idee diverse sul futuro di Engineering. Quella di una «public company» partecipata dal principale gruppo bancario italiano o da Cassa Depositi e Prestiti, soluzione a cui lavorava Cinaglia, non si poteva conciliare con l’avvento della dinastia familiare immaginato da Amodeo. La mancata conciliazione tra le due visioni del futuro auspicabile per Engineering ha impedito, all’una e all’altra, di realizzarsi.
Da questa vicenda i due soci sono usciti indubbiamente arricchiti. Arricchirsi con onore è il titolo di un trattatello scritto nel 1458 da un mercante umanista, il dalmata Benedetto Cotrugli, il quale sosteneva che diventare ricchi onestamente significa arricchire la società e che, se è vero che i conti devono essere tenuti in ordine, è altrettanto vero che questo non è sufficiente: occorrono doti intellettuali, professionali, morali e umane senza le quali ciò che si realizza non è vera impresa.
La forza dell’ingegno
L’ultima volta che Michele Cinaglia ha partecipato al kick-off di Engineering è stato l’11 marzo del 2019, al Parco della Musica di Roma. Ha parlato pochi minuti e non di bilanci aziendali, nuovi mercati o prodotti innovativi ma ai duemila quadri e dirigenti che lo ascoltavano in religioso silenzio ha parlato dello stupore provato il giorno prima davanti alle porte bronzee di San Giovanni in Laterano, a Roma, provenienti dalla Curia Iulia, l’antico senato romano. Si è soffermato sulla forza, sull’ingegno, sull’incanto che il genio del passato ci regala. Quando Cinaglia ha taciuto c’è stato un applauso timido, quasi di circostanza, ma che poi è diventato via via sempre più convinto e caloroso, come se un po’ alla volta tutti infine avessero capito.
Tratto da: 40 anni di Engineering. La storia di un’impresa italiana e delle persone che l’hanno costruita, di Nicola Melideo (ed. Guerini Next con goWare per l’edizione digitale), pp. 11-14.