Campione del fotovoltaico e ai vertici delle classifiche mondiali anche per l’eolico. Merito di norme leggere ma efficaci, che rendono un affare d’istallazione dei pannelli e delle pale, anche senza incentivi. Ma con un fastidioso effetto boomerang: la crescita così rapida dell’energia verde mette in crisi il sistema elettrico, che fa fatica ad adeguarsi al nuovo paradigma delle energie non programmabili. È decisamente una doppia lezione energetica quella che viene proprio dallo Stato americano celeberrimo per la sua vocazione alle trivellazioni petrolifere e agli storici profitti regalati dall’oro nero.
Prima lezione, di cui anche forse soprattutto noi italiani dovremmo tenere conto: con il progresso tecnologico e il rapporto sempre più conveniente tra l’efficienza dei pannelli solari e il loro costo (ma anche l’eolico, seppure più lentamente, sta mostrando lo stesso scenario) non c’è bisogno né di obblighi particolari per la transizione ecologica, né di grandi aiuti economici o fiscali, per invogliare i privati e le imprese a installare i pannelli. Anzi, gli incentivi non servono proprio: basta eliminare il macigno della burocrazia brucia-risorse delle autorizzazioni, dei permessi, delle asseverazioni. Basterebbe probabilmente un sistema basato sull’autocertificazione con controlli a campione. Un sistema all’americana, appunto, basato sul meccanismo della fiducia vincolata: ci si impegna a rispettare le regole le norme e chi sbaglia paga pesantemente, più pesantemente di quello che accade ora nel nostro paese. Colpirne uno per educarne cento? In questo caso perché no.
Un primato a cui guarda anche l’Italia
A quanto riferisce il Financial Times alla fine di quest’anno in Texas avrà installato più potenza fotovoltaica rapporto la popolazione non solo tutti gli Stati americani ma addirittura di qualunque paese nel mondo. E all’inizio della scorsa primavera il fotovoltaico texano ha scavalcato il carbone usato per la generazione elettrica (e ampiamente usato dello Stato americano accanto al da sempre robusto ricorso a petrolio e gas e al contributo di due centrali nucleari). Dato ancora più eclatante: l’incidenza del fotovoltaico della produzione elettrica ha superato ampiamente quella della California, votata naturalmente a questa energia in condizioni ambientali ideali, ma minata da una burocrazia autorizzativa simile – fanno notare gli analisti liberisti dell’Istituto Bruno Leoni – a quella italiana.
Non a caso la nostra Enel Green Power allestito proprio in Texas, in stretta collaborazione con le autorità locali, due impianti verdi tra i più grandi negli USA: la centrale fotovoltaica Roadrunner nella contea di Upton, con la bellezza di 1,2 milioni di pannelli solari a doppia faccia capaci di erogare poco meno di 500 MW di potenza, e il parco eolico Hight Lonesome a cavallo tra le contee di Upton e Crockett con 164 turbine capaci di erogare ogni anno 1,7 terawattora (TWh) di elettricità verde.
L’effetto boomerang di una rete da adeguare
Il rovescio della medaglia? Se l’installazione di pannelli solari e di generatori a vento corre troppo, e (come è giusto) si amalgamano le energie verdi con il sistema di produzione e scambio dell’energia nazionale, insomma si mettono “in rete” a tutti gli effetti, il sistema elettrico si deve adeguare e modernizzare rapidamente. Altrimenti rischia di andare in tilt. In Texas sta succedendo esattamente questo.
Eppure il Texas può vantare, insieme la California, uno degli scenari più favorevoli al mondo per installare una buona combinazione di fotovoltaico e eolico grazie a un irraggiamento è una ventilazione relativamente costanti, che possono oltretutto supplire l’una alle eventuali carenze momentanee dell’altra. Tant’è che si stima che in quei luoghi il costo netto dell’energia rinnovabile sia già oggi almeno del 25% inferiore a quella generata con le fonti tradizionali (petrolio e gas).
Un affare, un esempio per tutti. Sempre che la tecnologia di rete venga comunque adeguata, per fronteggiare in casi normali i flussi di sole e vento che comunque non sono perfettamente programmabili e in casi tutt’altro che rari i picchi climatici che in Texas non mancano. E proprio su questo versante che il Texas deve subire l’effetto boomerang dei suoi record, costretto ad andare in avanscoperta sui problemi di tutti i paesi che corrono rapidamente verso le energie verdi.
Nel Texas, come del resto in tutti gli Stati Uniti, la distribuzione elettrica è comunque molto datata e si fa ancora largo uso di precarie palificazioni in legno. Non è facile modernizzare i sistemi centrali di governo della rete quando la distribuzione continua essere in uno stato precario e decisamente pericoloso. Tant’è che nel 2021 un’ondata eccezionale di freddo ha causato lunghe interruzioni elettriche in milioni di case.
I guai texani e il messaggio per gli altri
Ma veniamo al settembre del 2003 quando i guai sono derivati proprio dalla difficoltà di amalgamare rinnovabili e loro difficoltà di programmazione. Nella prima settimana di settembre il gestore della rete, Ercot, ha lanciato un’allerta arancione sui rischi di interruzione della corrente in molte aree con l’appello a ridurre i consumi inclusi quelli per la ricarica dei mezzi elettrici. Il problema? I margini di riserva di elettricità stavano avvicinandosi pericolosamente allo zero a causa di un calo improvviso sia della generazione eolica che della produzione solare a fronte di una domanda che stava crescendo più del previsto.
La nuova calura estiva? Da brividi. Le turbine di generazione a gas che devono essere pronte a intervenire istantaneamente per fronteggiare le emergenze? I sistemi di accumulo a batteria o a bacini idroelettrici che dovrebbero sempre accompagnare l’assalto dell’eolico e del solare? Un sistema informatico per il governo della rete capace davvero di coordinare tutto ciò? Missione non facile. Lo sa bene Terna, il gestore stratega della rete elettrica italiana, che nei suoi periodici rapporti sull’adeguatezza insiste regolarmente sulla necessità e sull’impegno che bisogna dedicare proprio a tutto ciò.