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Energia: perché i Verdi attaccano Eni

Gli ambientalisti manifestano contro l’azienda che a sua volta presenta il Report di sostenibilità. Siamo ad una svolta epocale, ma il dissenso deve essere ragionato per poter aiutare il cambiamento

Energia: perché i Verdi attaccano Eni

‘Criminali del fossile’ : la definizione con la quale 200 ambientalisti l’altro giorno hanno attaccato un cantiere Eni a San Donato Milanese aveva l’obiettivo di oscurare l’impegno della società nella transizione ecologica. Qualcosa non funziona, evidentemente, perché più o meno nelle stesse ore l’Amministratore delegato Claudio Descalzi ha presentato Eni for 202015 esimo report di sostenibilità del gruppo. I due eventi, tuttavia, stimolano qualche riflessione.

Sulla transizione ecologica italiana in queste settimane si affollano opinioni e posizioni politiche assai diverse. Di sicuro  non aiutano lo sforzo collettivo per rendere l’Italia migliore dal punto di vista ambientale ed energetico. L’Eni è la più grande industria energetica italiana ed opera in 68 Paesi. La sua storia sin dai tempi di Enrico Mattei è segnata da luci ed ombre, scandali e successi, vittorie e misteri, intrecciati con la storia politica ed economica dell’Italia. Sul piano industriale non c’è dubbio che l’azienda sconti oggi un passaggio epocale che travalica i confini italiani e perciò stesso la transizione appena strutturata dal Ministro Cingolani. Per Eni passare dalle fonti fossili alle rinnovabili ha significato (ed è in corso) praticamente partire da zero. Intendiamoci: qui non si fa nessuna difesa d’ufficio, ma la realtà non è mai a senso unico.

Il dato vero è che o la società accetta la sfida del passaggio dalle fonti tradizionali a quelle future o è la sua sopravvivenza ad essere messa in discussione. Che gli attivisti verdi individuino le vecchie compagnie oil & gas come nemiche del pianeta, è noto. Avrebbero dovuto le stesse società rendersi conto che il proprio business danneggiava l’ambiente, la salute, creava disparità economiche e sociali nel mondo. Non lo hanno fatto. Quando sono nati i movimenti ambientalisti si sono rese conto (chi più, chi meno) che era arrivato il momento di rinnovarsi e stare dalla parte di chi portava istanze così innovative. Le aziende subiscono le spinte esterne. Ma l’energia non ha accompagnato tutte le civiltà? E’ la storia dei Paesi industrializzati a confermarci binomi inscindibili come  progresso-energia, crescita-utilità, benessere-risorse. Certo, l’uso e la ricerca nel sottosuolo, nei mari, ha prodotto disparità e disastri a non finire con conseguenze nefaste per intere popolazioni. Bene o male siamo arrivati al nuovo millennio e nessuno può dire di  esserci arrivato senza responsabilità. Politiche, economiche, sociali, morali in ragione del desiderio del riscatto dalla condizione precedente. Papa Francesco ce lo ricorda spesso.

Guardando l’Eni, ciò che interessa capire è la reale volontà di agganciare il futuro. Gli ambientalisti possono dubitare, è nel loro diritto. Il report di sostenibilità descrive l’impegno per una “transizione energetica equa e inclusiva, che garantisca l’accesso all’energia per tutti, preservando l’ambiente” ha detto Descalzi. Tre volumi racchiudono il senso di una trasformazione profonda e incisiva dell’azienda. Se da una parte vengono descritte le performance di sostenibilità degli ultimi 5 anni, dall’altra si illustra il percorso verso la neutralità carbonica al 2050. Due elementi convergenti verso un solo traguardo. Perché gli oppositori verdi non lo portano a proprio capitale green? Se il management in documenti così importanti racconta dell’evoluzione del vecchio modello di business che coinvolge – dato trascurato nelle proteste – centinaia di migliaia di dipendenti, perchè non “andare a vedere” come in una partita di poker? 

La società dice che la sua mission concreta si “ispira ai 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, per rispondere alle sfide universali in un contesto sempre più impegnativo anche alla luce dell’emergenza sanitaria del  2020”. Bene. Il confronto-scontro con l’azienda, a questo punto, dovrebbe riguardare l’analisi dei dati esposti al mondo intero. Le migliori analisi ci dicono che l’era delle fonti fossili non finirà così presto. Le alternative ci sono tutte, ma la competizione ambientale ha bisogno di dialogo. Contrastare le estrazioni di petrolio e gas ancora richieste da milioni di abitanti con le sole marce e i sit in, negli ultimi sei anni non ha modificato alla radice il fabbisogno di energie tradizionali. Soltanto la domanda di petrolio quest’anno crescerà del 6% e Paesi interi non sanno esattamente come andare avanti senza gas, petrolio, carbone. Arduo definirli criminali.

Il fatto, poi, che Eni nei tre volumi racconti testimonianze in partnership con le organizzazioni internazionali in Messico, Angola, Ghana, può essere verificato e divenire fattore di successo per i verdi se quelle testimonianze sono estese a fattori climatici ed ambientali di quei Paesi. Infine i soldi. L’Eni si preoccupa di scrivere un capitolo sulla finanza sostenibile. L’anno scorso l’azienda ha continuato a consolidare il proprio impegno in materia, ottenendo “riconoscimenti dai principali indici di sostenibilità utilizzati in ambito economico per misurare le performance ambientali, sociali e di governance”. Nemmeno queste descrizioni si fanno con mano leggera, per le implicazioni economiche che muovono migliaia di miliardi e nel caso specifico per un’azienda partecipata dallo Stato, quindi dai cittadini. In definitiva non ci può essere nessuna condizione sospensiva del dissenso, sarebbe certamente migliore se aiutasse tutti ad andare avanti.

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