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Energia, Orange book: le cinque sfide delle utility nei servizi alle città

Mettete sensori nei vostri cannoni. O meglio, è il momento di spingere sull’efficienza energetica per mettere nell’angolo inquinamento e Co2 che asfissiano le grandi città. Ma è il momento di farlo seguendo i nuovi trend e gli scenari aperti dalla rivoluzione tecnologica e dalla digitalizzazione: servizi su richiesta (on demand, come la tv) anche nell’energia per l’illuminazione pubblica o per migliorare l’efficienza nella gestione dell’acqua, dei rifiuti, includendo quindi ambiente e sostenibilità. A cominciare dalla mobilità urbana con auto e bus elettrici o a metano.

 Alla vigilia della presentazione della nuova Sen (Strategia energetica nazionale) che il governo illustrerà nel G7 Energia del 9-10 aprile, è questo il messaggio lanciato dall’Orange Book, la ricerca condotta dalla Fondazione Utilitatis, Utilitalia ed EKN – EfficiencyKnow, giunta alla terza edizione e presentata mercoledì 29 a Roma. Il focus è sull’efficienza energetica nell’ottica dei nuovi servizi per le città. “Non un’esigenza solo etica – ha spiegato Federico Testa, presidente di Enea – ma un vero e proprio business nel quale le utility possono avere un ruolo fondamentale”. Dall’illuminazione pubblica con lampioni, non solo a Led, ma che si adattano al flusso di automobili e abitanti; agli acquedotti che potrebbero recuperare notevoli risorse se digitalizzassero servizi e monitoraggio della rete; al biometano collegato alla raccolta differenziata (Hera ha appena avviato un’investimento di 30 milioni per produrlo dal compostabile); al teleriscaldamento e alla mobilità sostenibile, due risorse indispensabili per combattere le principali fonti di Co2 e polveri: il trasporto e, appunto, il riscaldamento degli edifici.

Se l’Europa ha lanciato la parola d’ordine “Efficiency first” per gestire la transizione verso il migliore dei mondi possibili, quello in cui tutta l’energia primaria sarà fornita da fonti rinnovabili e quindi il risparmio energetico diventerà un non-obiettivo, cosa può fare l’Italia per assicurare la transizione fra il vecchio e in nuovo modello energetico “decarbonizzato”? Parecchio, in termini di risparmio. E cosa possono fare le utilities per favorirlo e agevolare gli enti locali nella difficile gestione dei grandi poli urbani? Il presidente di Utilitalia (473 aziende associate) e di A2A, Giovanni Valotti, spiega che “le utility sono pronte a fare fronte alle nuove sfide” ma l’Orange Book rivela che solo A2A, Hera, Iren, Agsm e Cam hanno avviato interventi significativi nei 5 settori-chiave individuati, confermando un’Italia a 2 velocità con il Nord che corre mentre Roma e il Sud sono in ritardo sul versante di energia e efficienza.

Alcune cifre aiutano a chiarire. Mobilità a metano: l’Italia detiene la leadership tecnologica nel mondo ed il primato in Europa quanto a veicoli che utilizzano questo carburante (circa 972.000 mezzi a metano alla fine del 2015, circa il 2% del totale). Potrebbero diventare 1,3 milioni nel 2020 con un consumo di 2 miliardi di metri cubi di gas e un notevole abbattimento delle polveri rispetto a oggi.

Diverso il discorso della mobilità elettrica: qui siamo molto indietro, nonostante lo sviluppo nei prossimi anni sia certo e la Ue ritenga che i consumi elettrici legati alla mobilità passeranno dallo 0,3% del 2014 al 9,5% del 2050 in Europa dove oggi il 24% del totale delle emissioni di gas serra è attribuibile ai trasporti. In questo settore il Libro Bianco impone agli Stati membri dell’Unione europea di ridurre le emissioni del 60 per cento entro il 2050. Il ruolo che possono svolgere le utility è rilevante. Finora la Corte dei Conti ha certificato che sono stati spesi solo 6.286,28 euro su 50 milioni di euro stanziati dal 2013 al 2015 per la realizzazione dei punti di ricarica per le auto elettriche.

Enormi risparmi di energia, e conseguenti abbattimenti dei costi, sono possibili nella gestione dell’acqua: il consumo energetico degli acquedotti è valutato in 3.500 milioni di kwh, 840 milioni solo per le perdite di acqua (30%) con un costo di 130 milioni. Riportandole a livelli normali (15%) con automazione e tecnologie digitali si risparmierebbero 63 milioni l’anno. Altri 8,4 milioni di spesa evitata si possono ottenere nei pompaggi, per non parlare del ciclo della depurazione.

Bastano i sostegni attuali (soprattutto i Certificati Bianchi) a stimolare e indirizzare gli operatori sul terreno difficile dell’efficienza energetica? Se il Rapporto sostiene che il livello di copertura dei Certificati si sta riducendo e i prezzi salgono, il presidente del Gse Francesco Sperandini replica invece che “il mercato TEE (titoli di efficienza energetica, ndr) non è corto, anzi è più lungo del 20% rispetto a due anni fa eppure si è assistito a un aumento da 100 a 270 euro dei titoli che ora sono riscesi a 206 euro”. Sperandini, in attesa delle determinazioni dell’Authority su questi sbalzi, non ha escluso siano legati a comportamenti “opportunistici” (leggi: speculativi). E comunque ha sottolineato la necessità di premiare “le aziende migliori” per evitare bolle nel sottostante.

Il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti ha sottolineato la necessità di una nuova governance per gestire i cambiamenti, velocissimi, che legano energia e ambiente: “Il consolidamento del mercato e l’aggregazione fra le utilities – ha detto – ne sono un punto essenziale”. 

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Categories: Economia e Imprese