La trasformazione energetica è un processo complesso: niente è lineare, conseguenze contrastanti si susseguono in ogni passaggio del cambiamento. Questa è la realtà che si sviluppa nei processi della storia, dove i contrasti e il caso minano il cammino lineare dei cambiamenti di lungo periodo e ne fanno un percorso accidentato, dagli esiti imprevedibili. Per l’economista la sfida è estrapolare dalle grandi trasformazioni energetiche del passato alcuni nessi causali per applicarli, stilizzati, ai processi in corso. Questo procedimento consente di ricondurre i cambiamenti attuali a pochi passaggi essenziali che si manifestano in altrettante fasi sequenziali, fino a convergere in una trasformazione energetica compiuta, oggi come allora.
È questo lo sforzo teorico che ha motivato nel mio libro “Energia. La grande trasformazione” l’analisi delle trasformazioni energetiche passate per rendere comprensibili le dinamiche dei processi in atto, nonostante la storia non si ripeta e l’effettiva sequenza dei fatti incontri inciampi imprevisti, cosicché i punti di arrivo sono soggetti a svolte talvolta imprevedibili. Mentre scrivo ne viviamo una: quella drammatica della pandemia da Coronavirus che ha imposto l’arresto di attività e dei trasporti nel mondo, facendo crollare – non si sa per quanto tempo – la domanda di combustibili fossili.
I nessi causali individuati nel libro per interpretare le grandi trasformazioni energetiche possono essere utilizzati tuttavia come conclusioni, perché mostrano che il percorso avviato è irreversibile, ha una portata storica e il suo compimento è assai più vicino di quanto sia colto nella percezione comune. Li definirò “leggi dinamiche della transizione energetica” applicandoli alla trasformazione in corso. La prima è la spinta al cambiamento provocata da vulnerabilità percepite nel sistema esistente. Il modello incentrato sul petrolio ha mostrato alla fine del secolo scorso fragilità politiche, economiche e ambientali – ricordo, tra le altre, la dipendenza dai paesi politicamente instabili dell’OPEC, la crescita di enormi squilibri tra paesi consumatori e produttori, l’entità di movimenti speculativi globali destabilizzanti (attivati dagli anni Settanta), fino alla
devastazione dell’ambiente, legata all’uso dei combustibili fossili.
Questa pressione ha generato la seconda fase, la più lunga nel tempo, attraverso la quale il capitalismo si rinnova. La spinta al cambiamento si combina con la possibilità di ricavare ingenti profitti industriali costruendo percorsi energetici alternativi. Si producono innovazioni radicali, frutto della capacità creativa di pochi imprenditori, più o meno sostenuti dai governi nella ricerca di base, che sanno cogliere l’orizzonte potenziale per trarne profitti di oligopolio. In questa seconda fase innovazioni radicali hanno creato le fondamenta per l’utilizzo delle fonti rinnovabili in un nuovo modello energetico – batterie per conservare l’elettricità nel tempo, strumenti per catturare e trasformare le fonti naturali in energia, reti intelligenti per trasmetterla.
Sommandosi, pressione al cambiamento e innovazioni radicali alimentano movimenti di faglia di lungo periodo, tessere che attivano un cambiamento sottotraccia nel terreno energetico. I movimenti di faglia attivano a loro volta un percorso che via via crea prodotti nuovi e servizi sperimentali.
Il primo nucleo di innovazioni radicali è seguito poi da un’onda di innovazioni incrementali che, come sempre accade, riducono il prezzo dei nuovi prodotti, talvolta sostenuti dalle politiche dei governi, rendendoli accessibili alla popolazione. Si creano così le premesse per la crescita di una domanda diffusa e per il precipitare in tempi rapidissimi della terza fase sui mercati globali. Nella terza fase la diffusione dei nuovi prodotti e di nuove filiere industriali investe tutti gli ambiti, altera la traiettoria della crescita, ne cambia la direzione.
I nuovi prodotti e servizi creano in modo mirabile la propria domanda e innescano cambiamenti profondi nei costumi e nell’organizzazione della vita quotidiana. Si diffondono ovunque, grazie a comportamenti imitativi, che sono resi immediati dalle nuove modalità di comunicazione; si manifestano oggi nella generazione locale di energia e nel suo controllo da remoto, domani nel trasporto elettrico, nell’applicazione alla domotica di fonti naturali meno inquinanti, tra gli altri nuovi servizi. Coglie di sorpresa per la rapidità del suo precipitare nel mondo, ma è il risultato dei processi cumulativi che l’hanno preceduta. Oggi siamo sulla soglia di questa terza fase, ancora impreparati alla frammentazione che la transizione contribuisce a generare nella produzione, nelle relazioni sociali e negli usi quotidiani.
Il futuro della trasformazione energetica è nei nuovi servizi di cui oggi riusciamo a intravedere solo le potenzialità; nel nuovo scenario, trasformazione energetica e rivoluzione digitale sono inscindibili e intaccano le filiere tradizionali dell’industria, costringendo le imprese a rinnovarsi. Seguono in realtà i passaggi veloci della “teoria delle catastrofi”, secondo la quale, spiega René Thom, il ripetersi di mutazioni anche piccole provoca a un tratto un improvviso cambiamento di stato; oppure, nel diverso linguaggio dei fisici, sono parte della dinamica descritta da Feynman per mostrare i cambiamenti di stato improvvisi nell’universo.
Da ultimo, nella quarta fase, i cambiamenti consolidati si ripercuotono sugli equilibri politici internazionali che accompagnano e seguono gli eventi economici, quando la trasformazione è giunta a compimento.
In questo ultimo tratto cambiano le catene globali del valore della filiera energetica: i paesi del petrolio diventano gradualmente marginali, via via sostituiti dalla centralità di paesi ricchi di risorse minerali necessarie al nuovo modello, le terre rare – concentrate in Cina e in poche altre regioni (quelle in Congo controllate dalla stessa Cina). Ne consegue un riassetto degli equilibri geopolitici, nei quali la Cina, trova i suoi punti di forza. Questa concatenazione logica dei fatti è del tutto analoga a quella che portò il petrolio ovunque nel mondo, all’inizio del secolo scorso, analizzata nelle pagine del libro; la ritroviamo oggi, nei processi che generano un nuovo modello energetico fondato sulle fonti rinnovabili, in sinergia con i nuovi strumenti digitali, con il supporto del gas – il meno inquinante tra i combustibili fossili – e l’utilizzo di nuove risorse minerali, le terre rare.
Le dinamiche del processo possono essere espresse in sintesi e generalizzate. In estrema sintesi, un insieme di cause iniziali si coagulano, maturano nel tempo, e premono perché si attivi la spinta al cambiamento del modello energetico esistente (esprimono la dinamica della prima legge della trasformazione); se individuate, ne lasciano ben presto intravedere la direzione a imprenditori innovatori. La loro pressione attiva le dinamiche della seconda legge, che si manifesta in un primo nucleo di innovazioni radicali, apparentemente disgiunte in ambiti lontani tra loro, ma che di fatto preparano il tessuto della trasformazione energetica; generano quindi un’ondata diffusa di innovazioni incrementali che riducono i costi e consentono una prima cauta sperimentazione del consumo, fino a far esplodere nel mondo la domanda dei nuovi prodotti e di servizi innovativi (è la dinamica della terza legge).
L’intero processo produce, infine, una nuova organizzazione degli usi e dei costumi in tutto il mondo industrializzato e attiva ripercussioni economiche e geopolitiche globali (è la dinamica conclusiva della quarta legge della trasformazione energetica). L’esito finale corrisponde al passaggio a una nuova fase del capitalismo. L’intero percorso ha trovato una prima risposta nell’innovazione tecnologica. Ma le dinamiche del cambiamento sono complesse, non si esauriscono nella tecnica e attivano reazioni politiche. Lo spostamento a oriente dei commerci e la forza della Cina nella filiera delle rinnovabili troveranno sbocco in un nuovo equilibrio nel quale il cambiamento sarà con tutta probabilità sancito anche attraverso equilibri valutari diversi, come è sempre avvenuto nella storia, e verso una leadership multipolare nello scenario internazionale.
Petrolio e dollaro torneranno in un futuro non troppo lontano a condividere la stessa sorte, nell’ascesa del loro ruolo, prima, e nel loro tramonto, oggi. La portata rivoluzionaria di questa trasformazione energetica non è ancora percepita appieno, tuttavia: il salto della storia è più vicino e rapido di quanto sia previsto, poiché il percorso verso il nuovo modello si è sviluppato nel tempo (quasi cinquant’anni) attraverso un complesso di innovazioni apparentemente lontane tra loro, che solo alla fine, oggi, si coagulano in una nuova forma. La scarsa consapevolezza della portata e dell’accelerazione dei processi che ci apprestiamo a vivere è un aspetto critico della transizione in corso. La profondità del cambiamento è certamente difficile da interpretare e governare, quando “il vecchio muore e il nuovo non può ancora nascere”, come scrisse Gramsci in relazione a una condizione simile vissuta negli anni Venti.
Se riusciranno a prevalere una saggezza lungimirante e una strategia di lungo corso dei governanti delle potenze mondiali, il contrasto al cambiamento climatico potrà offrire un terreno di convergenza anche al difficile confronto economico che contrappone oggi Cina e Stati Uniti, soprattutto se l’Europa tornerà ad avere una voce in campo internazionale e a far valere la propria visione a sostegno di un multilateralismo cooperativo.
TEMPI, OBIETTIVI, STRUMENTI
Guardare al futuro, alle conseguenze di lungo periodo della trasformazione energetica, è più complesso. Apre altri interrogativi sui tempi, gli obiettivi e gli strumenti disponibili per il nuovo mondo da costruire. Ne richiamerò solo tre, per mostrare tre prospettive diverse in un breve bilancio in conclusione. Il primo riguarda la possibilità di arginare in tempo utile le conseguenze catastrofiche delle emissioni di biossido di carbonio sul riscaldamento del pianeta con l’attuazione del nuovo modello energetico; il secondo considera la governance del cambiamento climatico e l’efficacia delle istituzioni esistenti; il terzo infine richiama le regioni dell’economia e della crescita sostenibile, alle quali si collega lo sguardo sulle potenzialità democratiche della trasformazione energetica.
Da ultimo, infine, un cenno sulle criticità e sulle potenzialità che invece si aprono nei cambiamenti, se ben guidati. Nel nuovo millennio l’umanità è ferita da eventi atmosferici estremi, che non risparmiano paesi ricchi e poverissimi e colpiscono la civiltà industriale nel suo convincimento più profondo, nell’illusione cioè di poter esercitare un dominio assoluto sulla natura. Cambiare la traiettoria della crescita diventa un’urgenza, la prima tra le tante con cui si confronta il capitalismo, che per la prima volta dà segni di cedimento per cause che trascendono l’organizzazione produttiva e il conflitto sociale. Le scienze, la politica, l’economia sono alla ricerca di nuovi binari di sviluppo. In questo contesto si colloca la grande trasformazione energetica, ma l’orizzonte è confuso: due posizioni estreme rappresentano le interpretazioni dominanti: da un lato si esorta alla “decrescita felice” per difendere il pianeta; dall’altro, all’estremo opposto, si trova la lettura economica che rifiuta la possibilità di un nuovo modello energetico in questo secolo.
In realtà, la prima dipinge uno scenario illusorio; la crescita è il motore del capitalismo, la valvola di sicurezza degli equilibri sociali, indispensabile alla sua sopravvivenza: la “decrescita” non può essere la via per salvare il pianeta. La seconda invece è una lettura statica, fondata su equilibri di potere economico inattaccabili, che si perpetuano; le ragioni del petrolio sono uno di questi, destinati a rimanere immutati per molto tempo nel futuro. Ma non è così. Se si accostano in uno scenario globale tasselli del cambiamento pur lontani tra loro, si svela la convergenza delle dinamiche in atto, nelle quali la rivoluzione energetica in sinergia con la rivoluzione digitale si fanno strada. È la tesi argomentata nel libro; l’analisi dei fatti attuali e delle esperienze passate gettano un’altra luce sulla rivoluzione energetica che stiamo già vivendo. La prima domanda si pone nei confronti del cambiamento climatico, per il quale l’energia prodotta con combustibili fossili ha avuto grande responsabilità.
Arriva in tempo la trasformazione energetica per fermare le conseguenze del riscaldamento del pianeta? No, di certo, mostrano gli scienziati dell’UNFCCC, anche se oggi è ancora possibile frenare il ritmo di crescita delle emissioni. È dunque necessario impegnare governi e cittadinanza in un grande sforzo nelle politiche di mitigazione, per raggiungere la neutralità climatica al più presto; questo impegno si inserisce tra l’altro tra i fondamenti dei 14 obiettivi dei Sustainable Development Goals fissati dalle Nazioni Unite e da raggiungere entro il 2030 (con strumenti per migliorare l’efficienza energetica, l’accesso all’energia per tutti, la riduzione del riscaldamento del pianeta). Resta poi l’altra via: quella di rafforzare le “politiche di adattamento” (così definite dalle Nazioni Unite) e costruire un’etica della resilienza che accompagni l’umanità, nello sforzo di affrontare e superare per tempo le conseguenze di eventi catastrofici – i grandi movimenti migratori che stiamo vivendo, ad esempio, non sono che una delle conseguenze di lungo periodo dei cambiamenti che il mondo deve imparare a governare, come la desertificazione di alcune regioni del pianeta.
La “cecità intenzionale” di cui Amitav Ghosh, grande scrittore indiano, accusa il mondo occidentale non ha più spazio per contrapporsi alle politiche di conservazione del pianeta. Fronteggiare la crisi ambientale è il compito storico della grande trasformazione energetica, che offre strumenti indispensabili a questo scopo. Quanto agli strumenti di intervento, un secondo interrogativo riguarda le istituzioni e il raccordo tra esse per affrontare e guidare il cambiamento radicale con qualche possibilità di successo, ovvero la governance del cambiamento climatico. In teoria e sulla carta l’intelaiatura esiste. Ma uno sguardo ravvicinato ne mostra i vuoti. Le istituzioni sovrannazionali – Nazioni Unite, Agenzia dell’energia dell’OCSE – sono in grado di formulare previsioni sugli scenari futuri, rivisti di continuo alla luce di congiunture mutevoli, mentre non c’è traccia di nuove istituzioni internazionali o nuovi percorsi per affrontare in concreto, in modo cooperativo, i cambiamenti di lungo periodo necessari.
A Trump, Putin, Xi Jinping, Ursula von der Leyen spetterebbe questo compito storico, che essi non assumono. Le Nazioni Unite – l’UNFCCC, istituzione prescelta negli anni Novanta per coordinare gli sforzi – non riescono (e non hanno titolo) per far procedere le misure predisposte ormai da anni. La COP 21 del 2015, la più avanzata risposta globale per il contrasto al riscaldamento del pianeta, non ha avuto seguito, dopo aver suscitato grandi speranze grazie alla cooperazione tra Stati Uniti e Cina aperta da Obama e Xi Jinping. Resta il grido di attenzione degli scienziati (nei rapporti dell’IPCC), più o meno ascoltati nonostante le prove scientifiche addotte, che mettono in guardia dal rischio di eventi catastrofici provocati dalle emissioni antropogeniche di CO2, se la crescita del riscaldamento del pianeta sarà maggiore di 1,5°C rispetto ai valori che hanno preceduto la rivoluzione industriale (oggi la crescita ha superato 1°C).
A ciò si aggiunge la testimonianza dei fatti. Eventi ormai ricorrenti mostrano le alluvioni, lo scioglimento della calotta polare, il rialzo del livello dei mari, la perdita di flora e fauna marine per il riscaldamento degli oceani; in apparente contrasto, evidenziano la desertificazione di intere regioni, che sono diventate inabitabili per il caldo, reso ancora più torrido dall’assenza di acqua; sono all’origine di stragi ambientali per le popolazioni locali e le specie animali e di migrazioni di massa incontenibili;
altri mettono a dura prova le città costiere – da Venezia a Mumbai, da Londra a New York – e gli atolli del Pacifico. Ma dalle Nazioni Unite non arriva, né forse può arrivare, alcuna azione operativa efficace per fermare il disastro. A un livello più basso di governo, gli Stati nazionali e le regioni locali sono chiamati ad attuare politiche, regole, incentivi e sanzioni per
promuovere localmente un modello di crescita sostenibile.
Gli Stati offrono un quadro diseguale, solo in parte positivo. Le città, infine, sono la realtà politica più attiva verso la trasformazione energetica. La “lega delle città sostenibili”, che oggi comprende 96 grandi città nel mondo, mantiene e promuove standard di sostenibilità ambientale tanto importanti quanto vicini alle popolazioni e di conseguenza in grado di agire da vicino sugli usi e la responsabilizzazione sociale. E poi c’è Greta Thunberg, che attiva l’esercito delle nuove generazioni; le quali hanno assunto un peso politico nel mondo che non deve essere affatto sottovalutato. Il cambiamento climatico ha posto i giovani e la politica di fronte alla necessità di affrontare la difesa di un bene pubblico globale in crisi; i giovani si ribellano al debito di carbonio che minaccia il loro futuro e mina gli equilibri intergenerazionali nelle fondamenta. La nuova consapevolezza ha il pregio di mostrare ai governanti la necessità di cooperare nella ricerca di azioni congiunte per affrontare la crisi con efficacia.
3.000 TWh di pompaggi per 45 miliardi
conversione 1040 TWh in 100 miliardi di m.3 di R,gas
elettricita’ come materia prima sostitutiva oil/gas
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