Parte dal Sud l’idea del WWF di decarbonizzazione dell’Italia. Prende a modello la chiusura della centrale Federico II di Cerano a Brindisi dell’Enel per presentare un modello di economia sostenibile per l’area pugliese e non solo. A margine di un recente incontro sulla transizione energetica è stato avviato il laboratorio di idee e progettualità “Brindisi adesso futuro”. Fino al 18 febbraio 2019, chi vorrà proporre soluzioni e progetti lo potrà fare compilando un questionario sulla pagina wwf.it/laboratoriobrindisi.
Il tema è molto sentito dall’Associazione ambientalista che con il Comitato No al Carbone ha pubblicato l’aggiornamento del dossier “Il carbone: voltare davvero pagina in Italia, in Europa e nel mondo”. Ormai , si dice, non bisogna ragionare più solo sulla data di chiusura di un impianto, ma ci si pone il problema di come rilanciare le aree che ospitano le vecchie centrali, creando nuova occupazione sostenibile dal punto di vista ambientale ed economico.
Il WWF conduce da tempo la campagna per la chiusura delle centrali a carbone, il più inquinante tra i combustibili fossili. Sono state realizzate diverse azioni mirate ed a favore di alternative economiche e occupazionali. A più riprese viene ricordato uno studio dell’Enea sulla Liguria, dove ci sono tre centrali a carbone, due delle quali chiuse. Nella transizione dal vecchio al nuovo, è ipotizzata la conversione dell’impianto con batterie per impianti fotovoltaici, interventi di efficienza energetica nel settore residenziale, elettrificazione di banchine portuali e tanto altro. Un modo per creare più di 4.500 posti di lavoro abbattendo della metà le emissioni pro capite della Liguria. Condivisa questa impostazione, la centrale di Brindisi potrebbe diventare un modello internazionale di giusta transizione.
L’obiettivo italiano è di chiudere i siti al massimo entro il 2025. Verso questo traguardo si organizzano eventi e incontri per facilitare il phase-out, coinvolgendo quanto più possibile i cittadini e tutti i portatori di interesse. Una transizione giusta, ancorché circoscritta, guarda anche a sistemi di green economy locali a vantaggio dell’ambiente, della salute e dei lavoratori da guadagnare ad altri modelli di business energetici.
Gli ambiti territoriali delle centrali diventano ambiti di sperimentazione accettati dalle popolazioni e dalle istituzioni. Lo scorso anno la SEN (Strategia Energetica Nazionale) ha dichiarato l’obiettivo politico di chiudere le centrali entro il 2025. Gli ambientalisti, come dicevano, sperano che con il Piano Energia Clima, che il Governo deve presentare a breve, la decisione venga rafforzata da provvedimenti concreti e da una timeline. Non sono i soli. Anche le aziende energetiche aspettano uno scenario più definito. In Puglia, poi, si è ancora frastornati dalla vicenda del gasdotto Tap e dal cambio di rotta del governo rispetto agli impegni preelettorali. Non potrà essere così, evidentemente, per la fuoriuscita dal carbone.
Il dossier “Il carbone: voltare davvero pagina in Italia, in Europa e nel mondo” inquadra la necessità di procedere celermente. In Europa si stima che solo gli impatti sanitari connessi alla combustione del carbone costano 62 miliari di euro all’anno. Se poi a livello mondiale si dovesse attribuire un costo sociale anche all’impatto climatico provocato dalle emissioni di carbonio, le analisi più accreditate riportate nel dossier, dicono che ogni tonnellata di CO2 costerebbe mediamente oltre 400 dollari.
L’Italia, però, sostiene l’Associazione degli operatori del carbone con le 8 centrali attive, in Europa è l’unico Paese a non avere il nucleare e con solo il 13% di energia elettrica generata dal carbone. In Europa la media è del 26%. Quindi non siamo i più nocivi. Il carbone utilizzato arriva via mare per il 90% da USA, Sud Africa, Australia, Canada, Cina, Russia. Con un import altissimo, a rischio nei prossimi anni.
La Sen ha stanziato 175 miliardi per la transizione alle rinnovabili, puntando a sostituire il gas con il carbone. C’è polemica sulle emissioni di CO2 che per alcuni sarebbero equivalenti tra i due combustibili. La disputa renderebbe revisionabile la SEN su questo punto, ma pensiamo che non sarà così. Il tempo a disposizione per smetterla con il carbone non è illimitato. Gli ambientalisti lanciano da Sud la loro sfida strategica e non dispiace per ciò che di buono si può fare per l’ambiente e la green economy. Siamo nel bel mezzo di una transizione epocale che richiede lucidità e concretezza. E i soldi sono di tutti.