A un anno dal terremoto molte imprese emiliane sono ancora in affanno. La tragedia che colpì una delle zone più industrializzate del paese, fra il 20 e il 29 maggio 2012, mettendo in ginocchio 59 Comuni e uccidendo 28 persone, fa ancora sentire pesantemente le sue conseguenze, fiaccando soprattutto le piccole e piccolissime aziende che faticano ad accedere al credito e che non hanno la forza di farcela con le loro gambe. L’effetto rimbalzo, la paradossale spinta allo sviluppo che arriva dopo eventi come questo, ancora non si sente. Nella ricostruzione si sta lavorando in modo innovativo e le imprese del sistema confindustriale hanno ripreso la produzione in modo consistente (95%). Ma l’accesso ai fondi pubblici, soprattutto per chi ha una piccola attività, sembra proibitivo.
“La procedura per ricostruire e ottenere finanziamenti – dice Rodolfo Musci, titolare della Pressmair di Finale Emilia, azienda che realizza scalette e piattaforme per yacht di lusso – si chiama SFINGE, un nome, un programma, perché è una sorta di manuale online incomprensibile. Da quando è stato presentato sono uscite 160 rettifiche e ogni volta i tecnici devono ricominciare il lavoro da capo. Su un centinaio di domande presentate credo ne sia stata accolta una o poco più. Intanto però i costi delle imprese corrono. Ci renderemo conto di quanto la situazione sia grave quando cominceranno a partire, uno dietro l’altro, i fallimenti. Non parlo per me, che lavoro in un settore ricco, che non conosce crisi, ma per molti colleghi con cui mi relaziono quotidianamente. Io ero assicurato e ho fronteggiato al situazione. Chi non lo era oggi ha l’acqua alla gola”.
La Regione, nei giorni scorsi, ha presentato un bilancio complessivo sul post terremoto: si tratta di un impegno mastodontico, con 200 mila ore di lavoro messe in campo dai volontari della Protezione Civile, e risorse globali per la ricostruzione che dovrebbero arrivare quasi a 15 miliardi, 6 dei quali da destinare a imprese a abitazioni. Il commissario e governatore Vasco Errani rivendica di aver messo nero su bianco un metodo trasparente per l’accesso ai fondi e che i risultati dell’impegno profuso, a 12 mesi di distanza, si vedono quanto meno nella cassa integrazione, scesa da 40 mila ore a 2.700.
“La trasparenza e la severità nelle erogazioni sono sacrosante – osserva Musci – bisogna impedire infiltrazioni in questi ambiti, ma fino ad oggi la burocrazia ha bloccato tutto. E’ giusto che una Commissione esamini severamente le richieste, ma non può pretendere di finanziare solo le situazioni previste, perché le norme non contemplano mai tutto. Ci vogliono interpretazioni estensive, altrimenti i tecnici sono costretti a fare e rifare le domande. A cosa serve tenere ferme delle risorse che potrebbero già essere disponibili?”.
Le banche d’altra parte, osserva l’imprenditore, vogliono adeguate garanzie. “Per quanto mi riguarda sono fortunato, ho il sostegno pieno della Banca Popolare dell’Emilia Romagna, un istituto realmente radicato sul territorio, che conosce gli imprenditori uno per uno. Chi lavorava con banche di Milano o straniere, imbrigliate dai vincoli di Basilea3, invece non se la passa bene, perché non può dare ovviamente le garanzie richieste. Insomma il sistema, soprattutto dei piccoli, soffre pesantemente”.
A questo si aggiunge una beffa: “il paradosso – conclude Musci – delle tasse. Dobbiamo pagare tutto, anche l’imposta sui rifiuti. La colpa non è dei Comuni, che hanno bisogno di risorse per andare avanti. Il problema è politico e nazionale. All’Aquila le cose sono andate diversamente, forse quello è un bacino di voti più interessante del nostro, non lo so”.
In realtà la Regione si sta battendo per il pieno riconoscimento del danno economico alle imprese e l’allentamento del vincolo del patto di stabilità: il fronte è aperto.