Non è solo Emmanuel Macron, nel sostegno alle fonti rinnovabili. A rilanciare su scala mondiale il tema correlato ai cambiamenti climatici, ci sono anche gli esperti della Task Force on Climate-related Financial Disclosures (TCFD). In campo appena dopo la conferenza sul clima del 2015, si sono fatti sentire con un documento per spiegare i rischi finanziari legati alle mutazioni climatiche. Ed è sempre Parigi la piazza dalla quale giungono queste notizie, dopo quelle del Presidente francese sul blocco delle trivellazioni di gas e petrolio. La Task force creata dal Financial Stability Board, ha diffuso un testo in cui spiega i rischi per la finanza e l’industria se non si tengono sotto controllo le impennate inquinanti. Suggerimenti, e non solo , per mettere in guardia gli investitori dalla montagna di capitali a rischio.
Il climate change, impatta sulle strategie e sui portafogli in maniera talmente incisiva che i 32 esperti dell’organismo parigino stimano il valore del rischio climatico globale tra i 4.200 e i 43mila miliardi di dollari. Da qui alla fine del secolo. Una forchetta ampia con molte variabili, evidentemente.
Il loro lavoro è durato un anno e mezzo sotto la presidenza di Michael Bloomberg che coinvolto decine di banchieri, manager, compagnie di assicurazioni. Assodato che i rischi climatici pesano sulle filiere energetiche di tutto il mondo, l’obiettivo successivo a “Parigi 2015” è proprio quello di salvaguardare gli investimenti. Uno scenario da valutare con estrema attenzione è, appunto, l’aumento delle emissioni di CO2. Inquinamenti di città ed aree vaste che ciclicamente si ripresentano. Industrie? Agglomerati urbani? Mezzi di trasporto? Un miscuglio di agenti i cui picchi negativi disincentivano azionisti ed investitori.
Oltre a far male al pianeta, si capisce. Investire senza certezze di strategie efficaci, può essere moto rischioso, dice il documento del TCFD. Alla base delle elaborazioni ci sono quattro argomenti forti e tutti condivisibili: Governance aziendale; Strategia sugli effetti del rischio climatico; Gestione del rischio; Metriche per ponderare pericoli e opportunità. Indicazioni, insomma, sufficienti ad orientare scelte di medio- lungo periodo in settori ad alta volatilità. Del resto ricordiamo che la Task Force è stata creata proprio per tutelare l’economia mondiale dalle minacce climatiche.
E’ convincente apprendere che a favore delle aziende più esposte agli effetti di CO2, il documento ricorra alla resilienza, alla capacità manageriale e gestionale di adattarsi alle condizioni dell’ambiente in cui si opera. Certo si agisce tra leggi e regolamenti complicati, ma alla fine devono prevalere i comportamenti. Essenziale avere governance adeguate e sensibilità. Gli obiettivi di contenimento delle emissioni inquinanti almeno fino al 2030, hanno prodotto risultati importanti nei paesi Ue. Le incognite sono, però, all’ordine del giorno e per questo gli investitori sono prudenti. Le aziende che gestiscono miniere, centrali, piattaforme estrattive non possono comprimere i propri business senza affrontare i rischi climatici.
Un innalzamento della carbon tax sulle CO2, come sostiene il premio Nobel Joseph Stiglitz, è una delle possibili risposte al degrado e alla noncuranza degli impatti ambientali delle produzioni. Non è l’unica capace di tenere insieme investimenti, produttività e transizione verso le fonti rinnovabili. L’innalzamento della temperatura del pianeta viene combattuta e gli obiettivi delle Conferenze Onu del 2015 e del 2016 ( Parigi e Marrakech) sono saldamente delineati. Così come il documento del TCFD ha già avuto il sostegno di Bank of America, Barclays, HSBC, ING, ed un altro centinaio di società che insieme capitalizzano 11mila miliardi di dollari. Non sono solo indicazioni.