Il fantasma del razionamento dell’acqua aleggia questi giorni sulla Capitale. E’ realistica infatti l’ipotesi (o forse la minaccia) lanciata da Acea di lasciare un milione e mezzo di romani senza acqua per 8 ore al giorno a partire dal 28 luglio.
Il d-day, previsto per il prossimo venerdì, si avvicina, e si è ancora molto lontani da un accordo che permetterebbe di evitare il razionamento. Anche il Vaticano ha deciso di chiudere tutte le fontane dislocate nei Giardini Vaticani e nel territorio dello Stato. Nel pomeriggio di martedì è previsto un incontro fra la sindaca Virginia Raggi e il governatore Nicola Zingaretti per scongiurare lo stop.
Si tratta, molto probabilmente, della goccia che ha fatto traboccare il vaso. E’ vero, l’emergenza siccità che sta colpendo lo Stivale è un fatto straordinario. Quasi i due terzi della Penisola sono a secco, i campi e gli allevamenti contano già milioni e milioni di danni. Sarà pure uno degli anni più caldi dell’ultimo secolo, ma la situazione generale e lo stato di salute dei servizi idrici in Italia non è affatto buona, e non a partire solamente da quest’anno.
L’attenzione sembra rivolta più alle previsioni meteo, con la speranza di qualche timida pioggia che porti aria fresca, che alle pesanti e durature difficoltà e problematiche che colpiscono ormai da anni il servizio idrico italiano.
La relazione annuale 2016 dell’Aeegsi – l’autorità competente per tutti i servizi in rete (elettricità, gas, e acqua appunto) – ha fotografato lo stato di “vetustà” delle reti idriche, fornendo dati poco rassicuranti. Basti pensare che il 24% delle condotte di acquedotto ed il 27% delle reti fognarie vengono utilizzati per 50 anni, superando di ben 10 anni la loro normale e fisiologica vita utile, che è pari appunto a 40 anni. Il sovrautilizzo fa perdere in termini di efficienza.
A peggiorare la situazione è anche un altro dato: addirittura il 92% degli interventi sugli acquedotti è di natura “non programmata”. Si tratta quindi di una gestione – evidenzia l’Autorità – “emergenziale in cui manca la programmazione”.
Il grande problema è rappresentato dal fatto che il settore idrico gode di investimenti insufficienti, inadatti ad apportare miglioramenti ad una rete che ormai è in buona parte obsoleta e da troppi anni sovrautilizzata. Secondo l’Autorità il fabbisogno di investimenti segnalato dai gestori per acquedotti, fognature e depurazione nel periodo 2016-2019 corrisponde a circa 3,2 miliardi di euro annui. Per creare liquidità e aumentare il patrimonio destinato ai nuovi investimenti, nel 2016 c’è stata una variazione media delle tariffe, rispetto all’anno precedente, del 4,57%. Un incremento che non è stato uniforme in tutta Italia; al Sud sono cresciute del 6,09%, al Centro solamente del 2,38%. Il campione consultato dall’Autorità ha riguardato 130 gestori; proiettando questi valori sulla popolazione nazionale la spesa richiesta sale a 12,7 miliardi di fabbisogno entro il 2019.
Ma vengono poi davvero relizzati gli investimenti annunciati? Le verifiche compiute dall’Autorità hanno evidenziato uno scostamento tra la spesa effettiva per investimenti ed il fabbisogno pianificato, con un tasso di realizzazione degli interventi programmati in calo (81,5% nel 2014, 78,2% nel 2015). In particolare si sono dati da fare i grandi operatori del Centro Italia che hanno sostenuto una spesa in linea con le previsioni elaborate, mentre altre gestioni (in Piemonte, Lombardia, Puglia), hanno registrato un ampio scostamento rispetto alla programmazione effettuata, principalmente per ritardi nell’ottenimento delle autorizzazioni delle amministrazioni competenti.
Immagine: Investimenti complessivi pianificati per il quadriennio 2016-2019 – Fabbisogno di investimenti pianificato in miliardi di euro
L’Autorità è stata poi in grado di valutare il trend di crescita del valore delle strutture idriche nel periodo 2016-2019. Tra il primo e l’ultimo anno del quadriennio si registra un incremento del 17% a livello nazionale.
Immagine: Dinamica della RAB nel quadriennio 2016-2019 – Miliardi di €
Si avanza, dunque, ma lentamente, con una spesa media per il servizio idrico integrato di 291 €/anno, Iva inclusa. Il valore è più contenuto nel Sud e nelle Isole (284 €/anno) e più elevato nel Centro (344 €/anno).
La cifra pro capite risulta essere più alta nella zona del Paese dove i soggetti competenti hanno programmato, per il quadriennio 2016-2019, una maggiore spesa per investimenti da finanziarie attraverso tariffa. Questo non è casuale. Le tariffe salgono dove ci sono gestori pronti ad investire ciò che ottengono per migliorare lo stato di salute delle proprie reti.
Ad aggravare la situazione delle reti idriche in Italia sono poi le dimensioni di chi le gestisce. Le municipalizzate infatti sono spesso piccole, non in grado di incidere in senso positivo sull’efficienza del comparto idrico.
Sulla base degli interventi previsti nel quadriennio 2016-2019, le aree di criticità che richiedono maggiori investimenti si concentrano soprattutto nei servizi di depurazione e di fognatura – oggetto di ben tre infrazioni della normativa europea – seguiti dal servizio di distribuzione di acqua.
Immagine: Distribuzione degli investimenti programmati – periodo 2016-2019
Le criticità maggiormente rappresentate riferite all’attività di depurazione sono riconducibili all’assenza del servizio in alcune aree del territorio gestito ed alla totale inadeguatezza in termini di obsolescenza impiantistica e incompletezza dei trattamenti. D’altra parte invece, il servizio di fognatura, fisicamente inadeguato, non riesce a raggiungere la copertura totale della popolazione. Tutto questo, come si vede, non ha nulla a che vedere con la siccità ma con la capacità degli amministratore di condurre le aziende in modo efficiente. E l’acqua, lo si è visto più volte negli anni, si è trasformata in un’ “arma elettorale”, basse tariffe per raccogliere consenso a discapito degli investimenti.
Ma da dove proviene l’acqua di cui tutti i giorni ci serviamo? Esistono tre possibili tipologie di approvvigionamento: da sorgente per il 34%, da fonti sotterranee per il 49% e da corpi idrici superficiali per il 17%. Sono tre gli elementi fondamentali per una efficiente gestione delle infrastrutture e per un efficace controllo delle perdite idriche: la distrettualizzazione, il monitoraggio delle reti e la ricerca programmata delle perdite occulte.
Continuando comunque a sperare in qualche temporale estivo, la speranza di tutti è che ci sia un cambiamento vero e reale, fatto di investimenti ingenti, volto a rendere più efficiente e rinnovato un servizio così importante.