A quarant’anni dalla morte, la Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea di Roma, dedica una importante mostra Emanuele Cavalli e la Scuola romana: attraverso gli archivi, a cura di Manuel Carrera.
La mostra – aperta dal 10 febbraio al 20 marzo 2022 – documenta un periodo cruciale della storia dell’arte del Novecento, quello dell’Italia tra le due guerre, attraverso lo sguardo di uno dei suoi protagonisti: Emanuele Cavalli (Lucera 1904 – Firenze 1981).
La recente donazione del suo archivio alla Galleria Nazionale da parte della figlia Maria Letizia consente di approfondire lo sguardo sul complesso universo artistico e umano, del grande artista, costellato dagli intrecci con alcune delle più influenti personalità del suo tempo. Diari, lettere e documenti raccontano il sodalizio con Felice Carena di cui fu allievo e che lo introdusse sulla via della pittura tonale al quale Cavalli mescolò suggestioni che gli derivavano da Virgilio Guidi e Armando Spadini, oltre che da Ferruccio Ferrazzi. Dal materiale inedito esposto in mostra si configurano anche meglio i rapporti che intrattenne con Fausto Pirandello, Giuseppe Capogrossi, Corrado Cagli, Roberto Melli: i protagonisti, cioè, della cosiddetta “Scuola romana”, definizione coniata dal critico Waldemar-George nella presentazione di una mostra tenuta a Parigi nel 1933 da Cavalli, Cagli, Capogrossi e Ezio Sclavi.
Un sodalizio consolidato dal 1927 al 1930 quando l’artista partecipa ad alcune mostre insieme ai pittori Giuseppe Capogrossi e Francesco Di Cocco, andando anche in Francia (1928), dove è introdotto dall’amico Onofrio Martinelli nell’ambiente degli Italiens de Paris (De Pisis, De Chirico, Savinio e altri) e dove, poi, partecipa alla mostra al Salon Bovy di Parigi insieme a Fausto Pirandello e Di Cocco.
Da lì prende avvio l’avventura della formazione della cosiddetta Scuola romana.
Tipica di Cavalli sarà la ricerca di corrispondenze tra forme e colori, oggetti e soggetti, e proprio in quest’ottica va letta la volontà dell’artista di individuare connessioni tra i toni della pittura e quelli della musica. L’apice di tali ricerche è costituito dalla serie di nove dipinti – che in questa mostra viene parzialmente ricostruita – presentata alla Quadriennale romana del 1943: la sfida che Cavalli rivolgeva a sé stesso era quella di riuscire ad armonizzare i valori tonali, in chiave dichiaratamente musicale, con la rappresentazione concreta della figura umana. Il limite del ritratto gli imponeva quindi di accordare le variazioni cromatiche ai toni dell’incarnato, cioè l’unico colore che accomuna tutte le opere della serie. Sarebbe tuttavia inesatto considerare le opere della serie delle armonie di colori meri esercizi di ricerca estetica. Non è infatti secondaria, nei dipinti, la componente psicologica: con ogni variazione di tono Cavalli suggerisce efficacemente una sensazione o uno stato d’animo, dando prova così di una fine capacità introspettiva.
“Ho dipinto questa serie di quadri in diverse tonalità – scrive in occasione di una mostra romana – adoperandomi nell’abbinare la mia sensibilità contrappuntistica per il colore con un certo senso innato italiano del reale. Scelgo la figura umana poiché si presta meno delle Nature morte e paesaggi a trasposizioni ed evidenti astrattismi. Mentre non riesco a convincermi che intelligenza, intelletto siano all’infuori dell’uomo. Credo ad una realtà più sottile manifesta nell’arte, spesso in contrasto con la realtà contingente e bugiarda. Quale sia il segreto linguaggio dei nodi espressivi non mi è possibile afferrare. Il colore, la forma, la geometria sono le parole le frasi di tale linguaggio? O il linguaggio stesso? Il mio atteggiamento non vuole essere decisamente umanistico e ad altra competenza il risolvere la teoria la teorica dei problemi estetici. Amerei ricordare la monumentale raccolta di preludi e fughe nei toni maggiori e minori – il Clavicembalo ben temperato – creata per ben noti fini esplicativi e mi venga consentito oggi in altro campo, premesse le debite proporzioni e riduzioni, un breve tentativo con i colori e la figura umana”
In mostra, oltre ad una selezione dei documenti più significativi dell’archivio di Emanuele Cavalli, sono esposti alcuni dei dipinti, di cui i diari e gli appunti raccontano la lunga gestazione creativa di quello che è stato definito il suo “realismo magico”. L’evoluzione della pittura di Cavalli è poi scandita in esposizione mediante il confronto con capolavori dei colleghi a lui più vicini, provenienti da raccolte private e dalle collezioni della Galleria Nazionale.
L’accezione della pittura come ricerca di armonia venne precisata da Cavalli, in occasione della II Quadriennale. Presentando in catalogo la sua personale scrive: “Cerco di oggettivare con la massima chiarezza quello che sento della vita decifrandolo nel suo valore universale, spoglio cioè, nei limiti del possibile, di tutte le contingenze. La ricerca in questo senso “umana” mi discosta dalla pittura astratta o estetizzante. Sono tuttavia d’opinione che i vari significati (anche i letterari), dovrebbero esserci tutti in un’opera completa, generati dalle necessità Costruttive: ecco perché il racconto diventa pretesto. È la plastica che dà forma al mito: l’interesse del racconto, col tempo cessa prima ancora delle qualità di superficie del quadro”.
Ancor più di questa dichiarazione aiutano a comprendere l’artista alcune testimonianze come quella di Melli (1933) che descrive la sua “espressione ascetica… frutto dell’innesto di astrazione concettuale, in che s’è trasformata la fantasia, sulla sostanza realistica”, e quella di Lucchese sul suo metodo di lavoro: “Emanuele aveva, fisicamente e moralmente, qualcosa che rammentava Tommaso d’Aquino e l’Angelico, il suo parlare quieto era pregno d’una saggezza che veniva da molto lontano (dalla Scuola pitagorica – per il pensiero – e dalla civiltà pompeiana – per la pittura e i suoi segreti). Le mie pose, al suo studio, erano sostenute da corroboranti tazze di tè e, soprattutto, dall’ascolto delle Toccate e Fughe di Giovanni Sebastiano Bach. Quest’accompagnamento eccezionale, quotidiano e ripetuto per ore, pareva trasfondere nel pittore il dono del tono. lì suo lavoro diveniva concentrato, assorto. L’ambiente assumeva un clima quasi liturgico, gregoriano…”.
La sezione conclusiva della mostra intende offrire uno sguardo sull’attività di fotografo di Emanuele Cavalli, indagando le connessioni con le ricerche da lui condotte in pittura. Ritratti, paesaggi e nature morte tratteggiano il profilo di un fotografo con una piena padronanza dello strumento e uno sguardo sorprendentemente moderno, tale da suscitare in tempi recenti un rinnovato interesse da parte della critica.
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
Viale delle Belle Arti 131
ORARI: dal martedì a domenica dalle 9 alle 19. Ultimo ingresso 45 minuti prima della chiusura