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Elezioni Usa, ultimo weekend: Biden e Trump divisi su tutto

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“E’ ora di liquidare il luogo comune per cui l’economia va meglio sotto un’amministrazione repubblicana”. Nouriel Roubini, noto ai più per le catastrofiche (e talvolta azzeccate) previsioni sul futuro dell’economia, scende in campo alla vigilia delle presidenziali contro Donald Trump. “Le recessioni – nota – hanno avuto origine negli ultimi 50 anni sotto i presidenti repubblicani: nel 1970, 1980/82, 1990, 2001, 2008/09 e, naturalmente, nel 2020. Non dimentichiamo poi che la Grande Crisi dei subprime, affrontata da Barack Obama, è maturata nel 2007 sotto la gestione del Great Old Party”. 

Non è un caso, sostiene l’ex bocconiano: “I repubblicani sono assai più morbidi nell’applicazione delle regole, cosa che favorisce i comportamenti più arrischiati. Inoltre hanno il vizio di adottare politiche di bilancio imprudenti. Lo stesso vale per i democratici, ma questi ultimi tendono almeno a ridurre i debiti con gli aumenti delle tasse”. E’ falso, replicano dal fronte di Trump. Per capirlo basta leggere il programma elettorale democratico: se mai il neo-presidente dovesse rispettare le promesse sull’ambiente e la Sanità, il deficit Usa potrebbe esplodere. Senza dimenticare i condizionamenti in arrivo dall’ala sinistra del partito, da Bernie Sanders a Elisabeth Warren fino ad Alexandria Ocasio Cortez, la pasionaria che turba i sonni della destra.

A meno di una settimana dal voto non si sta verificando la convergenza verso il centro delle proposte dei candidati, una volta caratteristica di una sfida in cui, per vincere, occorreva puntare su ricette moderate, capaci di attrarre la classe media. Oggi, al contrario, le due Americhe che si confrontano sembrano espressione di una somma di estremismi, figli di un’incertezza cresciuta al passo della pandemia che ha azzerato le certezze. Fino a primavera inoltrata, infatti, sembrava che i segnali positivi in arrivo dall’economia, dall’aumento dell’occupazione ai record di Borsa, dovessero spingere Trump alla riconferma. Da allora la gestione pasticciata (o peggio) dell’epidemia ha cambiato il quadro. Cresce ogni giorno, anche sui mercati finanziari, la schiera di chi ritiene Trump inadeguato ad affrontare le emergenze. Di qui il vantaggio di Biden nei sondaggi, un elemento che i democratici guardano con grande sospetto dopo la vittoria a sorpresa del tycoon quattro anni fa.

Ma vediamo le differenze tra i due in alcuni punti chiave dei rispettivi programmi, quelli con cui, dopo il voto di martedì, il mondo dovrà convivere per i prossimi quattro anni. Parliamo di tasse, infrastrutture, regole sui giganti del web ed energia. 

TASSE. Trump propone un nuovo taglio shock delle imposte, con una riduzione dell’aliquota dal 35 al 21 per cento. Le maggiori entrate dovrebbero essere assicurate, oltre che dall’aumento del business, dal ricorso ai buy back per sostenere il corso delle azioni. Anche Biden propone un taglio delle tasse dal 35 al 28 per cento ma accompagnato dall’introduzione di nuove imposte a carico dei più ricchi che dovrebbero garantire, secondo Goldman Sachs, entrate per un altro 9 per cento.

INFRASTRUTTURE. Una buona parte delle speranze di ripresa dell’economia  con un’amministrazione democratica, è legata alla realizzazione delle infrastrutture promesse dai Dem. I nuovi cantieri, oltre che di strade, ponti e riqualificazione delle città, riguarderanno il rilancio del trasporto ferroviario e l’energia.

MONOPOLI. Una partita chiave sarà quella sulle nuove regole da imporre ai giganti dell’economia digitale. Una parte dei democratici chiede a gran voce lo spezzatino di Amazon. Anche Trump, però, è sceso in campo citando Google per aver infranto la normativa antitrust.

ENERGIA. Assai più distanti i contendenti in materia di transizione energetica. Per Trump semplicemente non esiste. L’amministrazione punta a moltiplicare le perforazioni garantendo lo sfruttamento di aree federali finora protette. Al contrario, Biden propone investimenti per 2.000 miliardi di dollari per ridurre le emissioni di C02.

Su un punto soltanto i duellanti sembrano vicini: la Cina, spauracchio della superpotenza a stelle e strisce che sente più vicino il fiato del Drago. Trump, per ora, ha fallito l’obiettivo. Biden chissà. 

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