Mai come in questi giorni, a ridosso del voto di martedì 8 novembre, l’esito delle elezioni presidenziali americane è incerto, incertissimo. Sarà per il caso emailgate (anche se molti sondaggisti giurano di no), sarà più verosimilmente perché esiste un’America profonda, lontanissima da quella che percepiamo al di qua dell’Atlantico, che al pari dell’Europa non è risparmiata dalla rabbia populistica e che quindi non avrà nessun problema a votare per Donald Trump, il candidato che più inquieta i mercati e la comunità internazionale. Ma Trump è davvero così pericoloso? E cosa accadrebbe, invece, in caso di una vittoria – non più così scontata – di Hillary Clinton? A spiegarlo a FIRSTonline è Stefano Silvestri, direttore di AffarInternazionali.it e consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali, di cui è stato anche presidente.
“I problemi per la Clinton potrebbero arrivare dopo il voto: gli scandali che la stanno travolgendo non saranno sufficienti per un impeachment ma potrebbero infastidirla, soprattutto con un Congresso a maggioranza repubblicana”, spiega Silvestri che parla di un presidente eventualmente “dimezzato. Che però è pur sempre meglio di un presidente imprevedibile come Trump: l’elemento prevedibilità è fondamentale, soprattutto per i mercati”.
Partiamo dalla politica interna, ovvero dal campo dove c’è più differenza tra i due candidati alla Casa Bianca.
“Da questo punto di vista i due candidati rispettano le tradizioni dei loro partiti: più spesa pubblica e più tasse, soprattutto sui redditi alti, per Hillary, mentre Trump vorrebbe abbattere entrambe e concentrare le risorse pubbliche sulla sicurezza”.
Sui rapporti commerciali internazionali invece le due posizioni si avvicinano.
“Sì, anche se sulla candidata democratica pesa l’effetto Sanders, che ha fatto dell’opposizione al NAFTA (North America Free Trade Agreement) e al Ttip due cavalli di battaglia particolarmente apprezzati in campagna elettorale. Clinton li sta cavalcando, ma alla fine credo che avrà un atteggiamento moderato, anche perché abbiamo proprio di recente sentito lo stesso Obama insistere con Renzi sul Ttip. L’ex First lady sarà in ogni caso meno protezionistica del suo rivale, che invece guarda solo dentro i confini domestici, su questa come su altre questioni”.
Quali?
“La sicurezza e la politica estera. Trump ha più volte criticato persino la Nato, ritenendo che gli Usa diano a questa organizzazione più di quanto ricevano in cambio. Ma ciò è profondamente falso: la Nato costa agli Usa, è vero, ma dà loro un beneficio molto più grande di quello che avrebbero se non ci fosse. In generale il candidato repubblicano ha una visione più bilaterale dei rapporti, in base alla simpatia o alla convenienza del momento. Ha strizzato l’occhio a Putin, persino alla Corea del Nord, ma non c’è nessuna strategia politica. Anche sulla sicurezza la visione è strettamente legata a quello che accade dentro gli Usa”.
Mentre la Clinton…
“Mentre Clinton ha una visione più globale e dunque la sua elezione sarebbe più rassicurante sul fronte dei grandi conflitti internazionali. In Medio Oriente non saprei dire come si porrebbe, potrebbe optare per una linea dura o per un lungo negoziato, ma in ogni caso ci sarà una strategia. Trump invece potrebbe persino infischiarsene e puntare a un quick fix, a una soluzione veloce magari delegando l’azione a un alleato, che può essere l’Arabia Saudita, la Turchia, o perché no l’Iran, se in quel momento gli conviene. Credo che qualsiasi opzione di Trump sarebbe più destabilizzante in quanto supportata solo da logiche personalistiche o legate agli interessi”.
A quanto pare Trump sarebbe destabilizzante anche per i mercati finanziari. Lo si è capito in questi mesi di campagna e lo dice anche la tradizione, che vede da sempre i presidenti democratici avere più feeling con Wall Street, da ultimo con Obama ma ancora di più ai tempi di Bill Clinton, marito di Hillary. Per caso c’entra anche il fatto che hedge funds e private equity funds hanno contribuito alla campagna di Hillary con 56 milioni di dollari e soltanto con 243mila dollari a quella dell’avversario?
“Può essere, anche se dall’altro lato la candidata democratica ha più volte manifestato l’intenzione di tassare maggiormente le rendite finanziarie. Ma questo non dispiacerà più di tanto ai mercati, innanzitutto perché bisogna vedere se e quando lo farà, e poi perché per le Borse il primo fattore è la stabilità. Con Hillary Clinton alla Casa Bianca avrebbero un punto di riferimento prevedibile, calcolabile. Il problema di Trump è che non si sa bene cosa farà, si limiterà a cavalcare le pulsioni populiste e questa è la cosa peggiore per la finanza americana e internazionale. Ed è anche il motivo per cui, se eletto, Trump farà meno fatica della sua avversaria a governare anche con una maggioranza debole al Congresso o con un Parlamento diviso: a parte un paio di interventi urgenti, come presumibilmente le tasse e la spesa per la sicurezza interna, Trump non ha grandi ambizioni riformistiche”.
Quali sarebbero gli scenari con l’uno o l’altro presidente nei rapporti con l’Europa?
“L’Europa ha un forte bisogno degli Usa, anzi io ritengo che dovremmo fare più sforzi per garantirci il sostegno e la presenza degli Stati Uniti. Per questo motivo saremmo decisamente più tranquilli con la Clinton, perché Trump non ama i rapporti multilaterali: come ho detto, preferisce personalizzare i rapporti e questo non gioverebbe all’asse Usa-Ue”.
E l’Italia?
“Vedremo cosa accadrà in Uk, comunque con Brexit l’Italia diventerebbe un Paese sempre più chiave in Europa e dunque sempre più interessante per gli Stati Uniti. Se vince Hillary si continuerebbe sulla linea tracciata da Obama, che poi è la stessa di Bill Clinton, ovvero quella di cercare sinergie tra i leader democratici internazionali. Clinton lo fece con Blair, Obama lo ha fatto di recente con Renzi e il premier canadese Trudeau, credo che Hillary proseguirebbe su questo solco”.
E se invece dovesse vincere Trump?
“Faccio una provocazione: non ci resterebbe che proporre Silvio Berlusconi come ambasciatore a Washington. Si potrebbe creare un bell’asse con Trump, Putin e perché no Erdogan. Questa ovviamente è una battuta, ma è l’unico possibile rapporto che mi viene in mente se il candidato repubblicano dovesse occupare la Casa Bianca”.