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Elezioni Usa, l’America Latina “tifa” Trump: ecco perché

Le politiche protezionistiche già messe in atto da Trump nel suo primo mandato hanno penalizzato l’export delle imprese agroalimentari statunitensi, facendo la fortuna del Sudamerica e in particolare del Brasile. Ecco perché dal Messico in giù sperano nel bis

Elezioni Usa, l’America Latina “tifa” Trump: ecco perché

“La mia parola preferita è: dazi”. Così, qualche giorno fa, l’ex presidente americano e nuovamente candidato alla Casa Bianca Donald Trump ha fatto capire che la guerra commerciale contro la Cina, in caso di sua vittoria, si inasprirebbe ancora, con imposte sui prodotti del Dragone e priorità alle imprese domestiche, le quali però verrebbero di conseguenza svantaggiate nelle esportazioni verso l’Asia, per compensazione delle misure ostili. A chi gioverebbe uno scenario del genere? Probabilmente non all’Europa, che si allineerebbe alla linea atlantica come sta già facendo ad esempio sulle auto elettriche fabbricate in Cina. All’America Latina, che già beneficia (soprattutto il Messico) del nearshoring, invece decisamente sì. 

La soia, l’oro del Brasile e l’export verso la Cina

Sotto la presidenza Trump infatti l’export dei prodotti agroalimentari statunitensi verso la Cina, primo mercato per domanda, aveva subito una battuta d’arresto. Basterebbe l’esempio della soia, una delle commodities agricole più richieste da Pechino: nel 2016, prima che il tycoon assumesse l’incarico di presidente, gli Stati Uniti vendevano al gigante asiatico 36,1 milioni di tonnellate di soia. Nel 2018, quando cioè durante la presidenza Trump si accentuò lo scontro commerciale, il dato scese a 8,2 milioni, meno di un quarto rispetto a due anni prima.

Chi ne approfittò, già all’epoca? Il Sudamerica e in particolare il Brasile, che infatti è tornato nel 2022 ad essere il primo partner commerciale della Cina e che oggi è il primo produttore mondiale di ben 10 materie prime ad uso alimentare: in ordine sparso soia appunto, zucchero, caffè, carne bovina, mais, farina di soia, carne di pollo, tabacco, cellulosa e succo d’arancia. 

Nel 2016 il Brasile esportava verso Pechino più soia degli Usa ma di poco, 38,6 milioni di tonnellate, mentre due anni dopo il dato è quasi raddoppiato a 74,5 milioni di tonnellate. Praticamente, il Brasile negli anni della prima esperienza di Trump alla Casa Bianca è arrivato ad esportare quasi dieci volte più soia degli Stati Uniti, e ancora oggi ne trae beneficio, con i nordamericani che non hanno più riconquistato quel mercato, nemmeno con Joe Biden. 

Il mais e la carne bovina 

Ancora più eclatante, per certi versi, il caso del mais: nel 2021, all’inizio del mandato di Biden, la Cina importava quasi 19 milioni di tonnellate del cereale dagli Stati Uniti, e quasi zero dal Brasile. Nel 2023 la proporzione si è di fatto invertita: crollate a 5,7 milioni di tonnellate le importazioni dagli Usa, esplose a 16,1 milioni di tonnellate quelle dal gigante sudamericano. Ci si sono messi anche gli imprevisti, come i cambiamenti climatici che hanno danneggiato molte coltivazioni negli Usa (per la verità la siccità ha colpito duro anche in Sudamerica) e come la peste suina africana, che ha reso Pechino dipendente dalle proteine provenienti dall’estero.

Nel 2016 il Brasile esportava 736mila tonnellate di carne bovina verso la Cina, e il dato dei nordamericani era solo di poco inferiore. Nel 2023 invece i lusofoni hanno raggiunto il record storico a 2,3 milioni di tonnellate di carne bovina vendute al Dragone, alla faccia dell’agricoltura sostenibile verrebbe da aggiungere, con gli Stati Uniti fermi a 1,1 milioni, nonostante l’aumento della domanda da Oriente. Anche perché nel frattempo la produttività degli allevamenti bovini a stelle e strisce era scesa ai livelli del 1950. 

Ecco perché il Brasile tifa Trump

Complessivamente, l’agrobusiness americano ha comunque retto, crescendo nell’insieme da 140 miliardi di dollari esportati nel 2016 a 174 miliardi l’anno scorso, con un deficit di 21 miliardi nella bilancia commerciale del settore. Nello stesso periodo però, il Brasile ha raddoppiato il proprio export da 85 miliardi a 167 miliardi di dollari, facendo volare la bilancia commerciale agroalimentare in positivo di ben 150 miliardi. Un motivo più che valido per “tifare” Trump, considerando che tutto il continente latinoamericano e non solo il Brasile è ricco di materie prime, alimentari ma anche energetiche e “critiche”: si pensi all’Argentina che già fu primo esportatore mondiale di soia, al Cile e alla Bolivia che possiedono il preziosissimo litio, all’oro, allo stesso petrolio. Del resto molti Paesi hanno ormai scelto di privilegiare l’asse con la Cina, al punto che un accordo tra Mercosur e Pechino è oggi considerato più conveniente e più urgente rispetto a quello, in stallo, con l’Unione europea.

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