Theresa May ha vinto, ma la sua scommessa politica si è risolta in un fallimento. Alle elezioni politiche britanniche, convocate dalla premier conservatrice in anticipo allo scopo di rafforzare la maggioranza e avere più potere nei negoziati con l’Ue per la Brexit, i Tories si confermano come primo partito del paese (42,33%), ma perdono la maggioranza assoluta. A spoglio quasi concluso, si fermano a 309 seggi, lontani dalla soglia necessaria a governare da soli (326), lontanissimi dal risultato ottenuto due anni fa con David Cameron (330).
I laburisti sono arrivati a quota 260 seggi, guadagnandone una trentina rispetto alle precedenti consultazioni. Il leader Whig, Jeremy Corbyn, ha chiesto le dimissioni di May: “Ha perso sostegno, ha perso seggi e ha perso voti, io credo sia abbastanza perché se ne vada”. Anche nel partito conservatore c’è chi vorrebbe il passo indietro della Premier (il Financial Times fa i nomi di Boris Johnson, Amber Rudd, David Davis e Michael Fallon per la successione), ma lei – per il momento – sembra intenzionata a rimanere al proprio posto.
A risultato acquisito, May, visibilmente delusa, ha sottolineato che il Paese ha bisogno di stabilità e i che Tory lavoreranno per garantirla. Certo, per governare dovranno trovare un alleato di cui fino a ieri non avevano bisogno. Un’alleanza possibile (ma non sufficiente) è quella con il partito unionista dell’Irlanda del Nord, che, con i suoi 10 seggi, si è detto disposto a trattare per un governo di coalizione.
Il portavoce dei Liberal Democratici (che hanno ottenuto 12 seggi), Menzies Campbell, ha detto a caldo: “Mi sembra molto difficile che il nostro leader possa entrare a far parte di una coalizione”. La presidente del partito Sal Brinton ha spiegato che i Libdem non intendono collaborare né col Labour né coi Tories perché entrambi sono in favore di una “hard Brexit”. Quindi non è possibile una coalizione per le “grandi differenze politiche” fra i partiti.
Forte calo per gli indipendentisti scozzesi dell’Snp di Nicola Sturgeon, che si confermano primo partito nella loro roccaforte del nord, ma con soli 34 seggi contro i 56 (su 59 totali della Scozia) conquistati due anni fa.
Chi scompare dal Parlamento è l’Ukip: il partiti euroscettico – di fatto semis-smantellato dopo la vittoria della Brexit – si ferma all’1,6%, perdendo il 10,8% rispetto al 2015.
Sul mercato valutario, i risultati elettorali hanno provocato il crollo della sterlina: -2%, a 1,28 sul dollaro e sotto all’1,14 sull’euro.