“Farò un nuovo governo, per rispettare la promessa della Brexit”. Con queste parole, Theresa May ha annunciato di aver ricevuto dalla Regina l’incarico di formare un nuovo Governo nel corso dell’incontro tenutosi a Buckingham Palace. In quanto leader del partito vincitore (anche se quella dei Tories può essere definita come una vera e propria “vittoria di Pirro”), la Premier incaricata tenterà dunque di creare una maggioranza traballante in grado di restare in piedi nonostante i numeri risicati e la forte opposizione dei laburisti, trionfatori morali delle elezioni dell’8 giugno.
L’obiettivo per il quale, lo scorso aprile, May aveva chiesto ai sudditi di Sua Maestà di tornare alle urne a meno di un anno dalla Brexit e con due anni di anticipo rispetto alla scadenza naturale della legislatura era quello di rafforzare la maggioranza in vista dei negoziati per la fuoriuscita del Regno Unito dall’Unione Europea che cominceranno ufficialmente il prossimo 19 giugno, a meno di tre mesi (era il 29 marzo) dal giorno in cui l’inquilina di Downing Street ha invocato l’articolo 50 del Trattato di Lisbona che ha dato avvio all’iter.
Il risultato delle elezioni però non solo ha deluso totalmente le aspettative del Primo Ministro, ma ha fortemente ridimensionato il suo margine d’azione: il partito conservatore si è infatti fermato a 318 seggi, che potrebbero diventare 319 dopo lo scrutinio di Kensington (Londra) che però è stato rimandato a stasera a causa di frizioni fortissime tra le varie fazioni in corsa. Un numero che a conti fatti sancisce non solo la perdita di 12 deputati rispetto all’assetto precedente, ma anche la totale assenza di una maggioranza assoluta alla Camera dei Comuni, corrispondente a 326 seggi su un totale di 650.
Assodata l’indisponibilità dei Liberal Democratici (12 deputati) a partecipare a qualunque tipo di coalizione come accaduto nel 2010, l’unica via in grado di portare Theresa May alla formazione di un Governo è quella di stringere un’alleanza con gli unionisti del DUP (partito protestante dell’Irlanda del Nord) che può contare su 10 deputati. Complessivamente dunque, l’Esecutivo di coalizione potrebbe avere 328 seggi (329 se i Tories conquisteranno Kensington, roccaforte del partito da anni), 2 in più della soglia minima.
“Lavorerò con loro – ha dichiarato la Premier incaricata – perché mai come in questo momento la Gran Bretagna ha bisogno di certezze”. Certezze che non riguardano solo la possibilità di portare avanti i negoziati sulla Brexit, ma anche la sicurezza. I due attentati subiti dal Regno Unito nelle ultime settimane hanno scosso fortemente l’opinione pubblica, ma sono diventati anche uno dei temi più importanti della campagna elettorale attraverso il quale il leader laburista Jeremy Corbyn è riuscito a recuperare gran parte dei venti punti percentuali che secondo i sondaggi separavano il suo partito da quello conservatore, conquistando 261 seggi (31 in più di quelli raggiunti nel 2015). Non solo, Corbyn ha duramente accusato May di aver messo a repentaglio la sicurezza dei cittadini a causa dei tagli alle forze di polizia approvati durante il mandato al ministero degli Interni (quando il Primo Ministro era David Cameron) e delle segnalazioni giunte su alcuni artefici degli ultimi attentati, cui l’intelligence britannica non avrebbe dato il giusto seguito.
Tornando al nuovo Governo, secondo l’accordo siglato nella notte, il DUP sarebbe disposto a dare ai conservatori un sostegno esterno sulla base di un’intesa fondata su un presupposto: impedire che all’Irlanda del Nord sia concesso lo statuto speciale che le permetterebbe di rimanere nell’Unione Europea, condizione richiesta dallo Sinn Fein, il movimento indipendentista irlandese che è riuscito ad accaparrarsi 7 parlamentari.
Per quanto riguarda gli altri partiti, lo Scottish National Party (SNP) ha subito un forte ridimensionamento, perdendo 19 seggi rispetto alla precedente tornata elettorale e fermandosi a 15. La premier Nicola Sturgeon ha però invocato un’alleanza tra i vari partiti di opposizione allo scopo di “fermare l’avventata corsa verso una hard Brexit”, impegnandosi per il mantenimento del mercato unico.
Non pervenuto lo Ukip, il partito che con il suo ex leader Nigel Farage è stato tra i principali fautori della Brexit. L’attuale numero uno Paul Nuttal (dimessosi dopo le elezioni) non è riuscito a conquistare nemmeno un seggio facendo sì che il partito sia totalmente scomparso dal Parlamento britannico.
Riassumendo, nonostante siano state apparentemente sventate le ipotesi più disastrose, vale a dire un governo di minoranza e nuove elezioni nei prossimi mesi, il futuro assetto politico del Regno Unito è tutt’altro che stabile. Forse lo scorso aprile, Theresa May avrebbe fatto meglio ad evitare un colpo di mano che, a conti fatti, sembra esserle costato molto caro.