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ELEZIONI SPAGNOLE – Madrid verso un governo “all’italiana”: Rajoy può vincere ma dovrà allearsi

Il premier Mariano Rajoy negli ultimi comizi ha ostentato grande sicurezza, ben sapendo che il suo PP difficilmente governerà per i prossimi 5 anni la Spagna in solitario, vale a dire in maggioranza. L’esito delle elezioni politiche del 20 dicembre non è mai stato infatti così incerto nel dopo franchismo. Finora è stata una alternanza di governi socialisti e di centro destra. Qualcuno più fortunato (quello di Aznar lo dimostra), qualcuno meno. Ma tutti all’insegna di governi solidi, capaci di legiferare senza troppe interferenze e con un forte senso della Nazione che ha permesso di superare fasi delicate come quella della guerra all’Eta.

In questa tornata sarà invece differente. La crisi economica degli ultimi anni ha fatto scoppiare un forte malcontento popolare e ha messo in risalto un marcato scollamento tra i partiti tradizionali e i cittadini. La protesta popolare ha preso così piede, favorendo schieramenti minori o del tutto nuovi come Ciudadanos e Podemos. Ma ha anche acuito la voglia di indipendentismo di alcune importanti Regioni, segnatamente la Catalogna.

Visto questo quadro generale fragile e analizzando il risultato delle recenti municipali e regionali, è quanto mai probabile (se non addirittura certo) che la Spagna si avvii a una italianizzazione del suo Governo. Vale a dire alla nascita di un Governo di coalizione, dai contorni ancora fumosi, perché saranno le urne a decretarne la formazione.

Non di meno, bisogna anche sottolineare il fatto che saranno le prime elezioni anche per il Re Felipe. Una Monarchia ovviamente “super partes”, ma non di meno sempre più vicina e sensibile ai problemi della popolazione. Una Monarchia moderna, dove la Regina, non dimentichiamo di estrazione popolare, sta facendo un ottimo lavoro di ricucitura tra le istituzioni fredde e distaccate del Paese e i suoi cittadini.

Il test del 20 dicembre, dunque, al di là del risultato, sarà interessante per gli sviluppi che avrà sulla vita politica e la conduzione del Paese. Si tratta di una fase delicata perché la Spagna, ancorchè ufficialmente uscita dalla crisi, è tuttora alle prese con una occupazione fragile (il tasso di disoccupazione specialmente tra i giovani è oltre il 40%) e con un modello economico antiquato che si basa su tre principali pilastri: turismo, costruzione, auto.

Il fatto che la crescita del Pil nel 2015 attorno al 3% e quella del 2016 tra il 2 e il 3% sia tra le più elevate in Europa, lascia comunque intravvedere un “premio” elettorale importante per Mariano Rajoy e nel contempo un argine al velleitarismo di Ciudadanos e Podemos.

La mission (possible o impossible?) del Pp, scartando l’ipotesi che possa avere una rotonda maggioranza, è quella di ottenere almeno 125 seggi (con almeno 5 punti in più rispetto al secondo partito), cioè il 29% dei voti. Vale a dire una minoranza solida che possa dare al centro-destra una posizione di forza nelle negoziazioni con il potenziale alleato. E soprattutto una certa stabilità al Paese.

Se invece il PP si fermerà a 100-110 seggi, la situazione si complicherà e così i possibili scenari. In questa seconda ipotesi, infatti, i socialisti di Pedro Sanchez potrebbero avere buon gioco nel proporre un Governo alternativo con Ciudadanos e l’appoggio esterno di Podemos o, viceversa con Podemos e l’appoggio esterno di Ciudadanos (dipenderà dai voti raccolti).

Il terzo scenario, molto improbabile, è quello di una coalizione allargata a più partiti, con il cambio scontato al vertice di uno dei due principali partiti, vale a dire PP o Psoe. Di sicuro, sarebbe questo uno scenario di grande instabilità politica per la Spagna con conseguenze negative sul fronte della governabilità e delle principali issue del Paese: indipendentismo, sanità, previdenza, lavoro.

Non resta quindi che attendere il verdetto delle urne di domani per capire quale strada politica imboccherà la Spagna. “Resta il fatto che la politica spagnola – dichiara a Firstonline un importante imprenditore catalano -, assomiglierà tendenzialmente sempre più a quella italiana: meno bipartitismo e più multipartito”. Come a dire che l’incertezza regna sovrana e che per la Spagna non è certo un segnale positivo.

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