Un sospiro di sollievo non l’ha tirato solo Emmanuel Macron, ma tutta l’Europa. Le percentuali con le quali il presidente uscente della Francia si presenterà il 24 aprile alla nuova sfida con la leader dell’estrema destra Marine Le Pen (come nel 2017) fanno la differenza: a lui il 28,5%, a lei il 23,6%.
Entrambi guadagnano posizioni rispetto all’ultima volta: Macron conquista più di quattro punti rispetto a cinque anni fa; Marine Le Pen due.
Elezioni Presidenziali francesi: tutti i risultati
Tracollano due grandi movimenti della storia politica francese: la destra gollista, guidata dalla presidente della regione Ile de France, Valèrie Pécresse, che non ha mai raggiunto un risultato così basso, sotti il 5%; e il Partito socialista, che ha raggiunto meno del 2% con la sindaca di Parigi, Anne Hidalgo. Realizza invece un’importante performance il leader della sinistra radicale Jean-Luc Mélenchon, che supera se stesso rispetto alla precedente elezione e si porta al 20,3%. Tutto il resto della truppa dei candidati (in tutto erano 12) si divide le briciole.
Verso il ballottaggio
Nelle ultime ore si era sparsa la voce che alcuni sondaggi davano i due candidati testa a testa, con il 24%: è stato il panico. Poi, i numeri nuovi hanno cambiato la situazione, restituendo il sorriso a molti.
Macron ora può pensare con più calma ai prossimi quindici giorni, quando dovrà vincere definitivamente la corsa alla presidenza. Perché i giochi non sono fatti: Marine Le Pen conferma la rincorsa nel raccogliere voti, e comunque mai la destra estrema era stata così forte nel Paese, come ha notato il popolare analista Alain Duhamel.
Elezioni Presidenziali francesi: l’affluenza
Peggio di quanto previsto invece per la partecipazione al voto: alle urne è andato il 73,5% dei francesi contro il 77,77% del 2017, più di quattro punti in meno.
A prima vista potrebbe sembrare una catastrofe democratica, ma è stata considerata molto meno severamente dagli analisti delle tv nazionali: dopotutto – è stato il loro ragionamento – non è andata così male visto che c’è una guerra in corso nel cuore dell’Europa e della quale si parla – ovviamente e ossessivamente – su tutti i media; non è andata così male nemmeno considerando che il Paese è uscito (o quasi) da una crisi pandemica sfiancato e sfinito; e non andata così male nemmeno valutando che la campagna elettorale classica, fatta di dibattiti, confronti e anche scontri, non si è mai vista.
Tutti i candidati, con poche eccezioni, si sono dati da fare il minimo sindacale per diffondere i loro programmi, mentre il presidente uscente, addirittura, forse preso dagli incarichi internazionali, si è trascinato nell’arena tardi e contro voglia, tradito forse dai sondaggi che lo davano per un lungo periodo avanti tra i 10 e 15 punti sugli avversari.
Che cosa succederà ora? Chi porterà i voti a chi?
Con chi si schiereranno i perdenti?
Mélenchon ha già detto che non un voto dovrà andare a Marine Le Pen. Ma non ha consigliato di votare Macron, lasciando libertà di coscienza ai suoi elettori. È già una buona cosa. Perché votano per lui non solo gli intellettuali rimasti orfani del Partito socialista o i giovani più radicali, ma anche elettori molto vicini all’estrema destra in quanto a programmi politici, paradossalmente, sono abbastanza simili.
Mélenchon per esempio è contro la Nato, come Marine Le Pen, e sogna di far diventare la Francia un Paese non-allineato; mentre in Europa invoca un protezionismo negoziato per i prodotti industriali e agricoli francesi, una cosa che può somigliare molto a una “Frexit”. Senza contare che accomuna entrambi i campi un odio viscerale per Macron: meglio tutti che lui.
Ma Macron intende recuperare l’intero campo, a destra come a sinistra. A sinistra in linea teorica, oltre a quelli ipotetici di Mèlenchon, può raccogliere i voti dei comunisti di Fabien Roussel, che sono già promessi; quelli dei socialisti della sindaca Anne Hidalgo pure; possibili anche, ma non sicuri quelli del Verde Yannick Jadot; mentre è escluso che possa recuperare quelli degli estremisti Phlippe Poutou e Nathalie Artaud. Niente di molto “pesante”.
Più interessante e vicino a Macron è il campo della destra moderata e gollista, quella delusa dalla candidata Valerie Pècresse il cui programma condivide con quello di Macron un bel po’ di punti, tipo l’obbligo di lavorare almeno 15 ore settimanali per chi prende il reddito di solidarietà; o l’attenzione verso la scuola e la sanità. Eliminata la schiuma della risacca dell’immigrazione, che ancora oggi rappresenta il punto più a destra dei gollisti, improponibile fra l’altro quando si prospetta l’arrivo di una grande ondata di profughi dall’Ucraina, Macron non dovrebbe avere problemi a “rassembler”, a raggruppare, la parte del movimento più aperta.
Intanto resta il preferito delle grandi imprese che, sul giornale di riferimento Les Echos, più volte hanno messo in guardia, attraverso interventi della Confindustria, sulla possibilità che possa vincere la leader di estrema destra. D’altra parte la parola d’ordine di Macron è stata in questa strana campagna elettorale “Nous Tous”, Noi tutti: cioè senza colore politico evidente, secondo la filosofia che ha ispirato fin dalla nascita il suo movimento, “En marche!”.
E Marine Le Pen? Chi attirerà?
Sicuramente i voti di chi ha scelto Eric Zèmmour, alla competizione arrivato quarto, con il 7%. E poi? Sicuro che la destra moderata non si lasci trascinare dalla illusione di tornare al potere, sebbene vassalli? Sui principali canali televisivi i commentatori si sono divisi, come a ogni latitudine. C’è chi non si è impressionato per il risultato: sarà Macron a vincere anche nel secondo turno, non è pensabile che la guida della Francia possa essere affidata a qualcuno come Marine Le Pen che immagina un’uscita del Paese dall’Euro, dall’Europa, dalla Nato e che non ha mai criticato l’invasione di Putin dell’Ucraina, nemmeno di fronte ai massacri di Bucha.
Ma c’è anche chi invece chi ha immaginato il peggio evocando fantasmi recenti (Trump, per esempio) facendo notare che quando la democrazia si stanca di se stessa lascia accadere quello che non dovrebbe mai accadere. Tanto più che i numeri (virtuali si intende) potrebbero essere dalla parte di Le Pen.
Avendo lasciato la maschera più cattiva del suo movimento al compagno-avversario Eric Zémmour, rimasto da solo a rappresentare “la Francia dei francesi”, Marine Le Pen non fa più paura. Si è ritagliata un’immagine di “Donna di Stato”, come si autodefinisce sui suoi volantini elettorali e si prepara di conseguenza a convincere anche i più moderati del fronte della destra.
Mancano quindici giorni e poi si capirà dove andrà uno dei Paesi più importanti dell’Europa. Un’eternità.