Perdere le elezioni regionali per un pugno di voti fa male. E fa ancora più male se si pensa che sugli avversari politici pesava l’handicap di una clamorosa bufera giudiziaria con l’accusa di corruzione su chi aveva governato la Liguria. Ma quel che è più incredibile è che i voti determinanti per vincere in Liguria erano a disposizione del centrosinistra che li ha allontanati per l’assurdo veto di Giuseppe Conte, il leader dei Cinque Stelle, ai danni di Italia Viva di Matteo Renzi.
I numeri parlano chiaro. Il sindaco di Genova e candidato del centrodestra a guidare la Liguria, Marco Bucci ha battuto il candidato del centrosinistra, Andrea Orlando, per qualche migliaia di voti. Alle ultime elezioni europee Renzi ha preso da solo in Liguria 6.100 preferenze: sarebbero bastati quei voti per cambiare il risultato ma l’ottusità di Conte, che con il suo M5S ha raccolto una misera percentuale di consensi con una debacle pesantissima che lo ha ridotto sotto al 5%, ha spinto il centrosinistra al più clamoroso autogol: rinunciare a un pacchetto di voti, quelli di Italia Viva, che, come si è visto, rappresentava l’ago della bilancia nelle elezioni in Liguria.
Per Conte meglio i veti che i voti: l’importante è perdere
Di fronte alla sua allucinante condotta, Conte si difende arrampicandosi sugli specchi e sostenendo che “con Renzi in coalizione avremmo perso più voti”. Ma i fatti lo smentiscono perché i Cinque Stelle hanno perso molti voti anche senza Renzi preferendo l’astensionismo, a partire da Beppe Grillo. La maldestra filosofia politica di Conte potrebbe riassumersi in poche parole: meglio i veti che i voti perché l’importante è perdere. Che il capo dei Cinque Stelle ami l’autolesionismo è affar suo di cui risponderà ai suoi militanti e ai suoi elettori, ma quello che è politicamente incomprensibile è che, come è già successo in altre occasioni, il maggior partito della sinistra, il Pd, accetti supinamente di andare a rimorchio di Conte e di subire i suoi disastrosi diktat.
È la stessa sindrome della sconfitta che vivono i socialisti francesi che, appiattendosi sulla linea massimalista di Jean-Luc Mélenchon, hanno buttato alle ortiche la possibilità di vedere un socialista indipendente come Cazeneuve alla guida del governo. Allo stesso modo, finché il Pd non supererà il suo complesso di inferiorità e la sua sudditanza a Conte, Meloni può dormire sonni tranquilli. Se non cambia la governance del centrosinistra, l’alternativa al Governo di destra-centro non è per oggi ma nemmeno per domani.