Che cosa farebbe nei primi cento giorni di governo Marine Le Pen se vincesse sul serio le presidenziali francesi? A poche ore dal risultato del voto che tiene con il fiato sospeso la Francia e tutta l’Europa, cinque giornalisti dello storico settimanale Nouvel Observateur (Matthieu Aron, Lucas Burel, Sarah Halifa-Legrand, Boris Manenti e Mael Thierry) lo hanno immaginato studiando a fondo il suo programma.
Ne è uscito un disegno al quale non a caso è stato dato il titolo “Lo scenario nero dei primi 100 giorni”.
Lo proponiamo ai lettori di FIRSTonline perché, nonostante Emmanuel Macron abbia dieci punti di vantaggio sulla sfidante, secondo gli ultimi sondaggi, e abbia vinto il confronto televisivo con la leader dell’estrema destra (14 milioni di telespettatori hanno seguito mercoledì scorso il “grande dibattito”), i francesi mai hanno avuto tanta paura di perdere le conquiste democratiche come in questa tornata elettorale. Temono che l’ondata populista che ha travolto la Gran Bretagna con la Brexit e gli Stati Uniti con Trump (e l’Italia con il primo governo Conte) possa raggiungere anche la Francia, perché è un Paese fratturato, come viene definito sui giornali, ed è facile per la demagogia far breccia nelle aspettative dei più fragili.
Il primo giorno da presidente
Il film comincia con le immagini della festa per la vittoria della leader di estrema destra: Marine Le Pen parla da un palco a Place de la Concorde (e questo non è immaginario: è vero, sarà lì che lei andrà nel caso battesse nelle urne Macron; che, dal canto suo, ha scelto per festeggiare la conferma all’Eliseo Champ de Mars).
Tutto quello che viene raccontato di seguito i giornalisti dell’”Obs”, come i francesi chiamano affettuosamente il settimanale che ha festeggiato l’altro giorno le 3000 copertine, lo si trova scritto nei programmi di madame Le Pen o l’ha rivelato lei stessa durante le interviste.
La prima telefonata è per il padre, Jean Marie, il fondatore del Fronte Nazionale, che aveva definito le camere a gas un dettaglio della storia e che la figlia era stata costretta a espellere dal partito per normalizzare la sua immagine. Ma il trionfo va condiviso perché Marine deve tutto a papà.
Si passa alla composizione del governo
E vengono i primi problemi, poiché, come era stato già notato durante la campagna elettorale, nel movimento lepenista non esiste una vera squadra di talenti, né tra le prime file né tra le seconde. Esclusi coloro che sono andati con Eric Zemmour e la nipote “traditrice” Marion Maréchal, resta solamente il nucleo storico: amici fedeli, ma non molto esperti. C’è qualche sindaco: quello di Perpignan, Louis Aliot, ex compagno di vita di Marine; quello di Frèjus, David Rachline; Renaud Labaye, suo ex capo di gabinetto. E poi un eurodeputato, Thierry Mariani, destinato agli Esteri; un ex magistrato, Jean Paul Garraud, che andrà alla Giustizia; il saggista Hervé Juvin, inviato all’Ecologia per smantellare tutto il parco eolico; e il “mastino” Jordan Bardella, che occuperà un posto chiave anche se non si sa quale. I Repubblicani (ex gollisti) Eric Ciotti e Nadine Morano, che avevano annunciato che non avrebbero votato per Macron, come invece aveva indicato la loro leader sconfitta Valerie Pécresse, si sono tirati indietro.
Arriva la prima misura: il referendum sull’immigrazione
Messo in piedi alla meglio il governo, Marine Le Pen annuncia la sua prima misura: il referendum sull’immigrazione, non ascoltando il parere dei giuristi che “denunciano un colpo di Stato costituzionale”.
Ai francesi chiede di convalidare la chiave di volta del suo programma: la riforma che instaura la preferenza nazionale e il diritto francese su quello comunitario. Si tratta di rendere costituzionale la discriminazione contro gli stranieri sul lavoro, per gli aiuti sociali e gli alloggi. Si fissa per legge anche “l’accesso agli stranieri in ogni impiego pubblico o privato”. Cosi facendo non solo si vieta di lavorare a chi ha la doppia nazionalità nelle “amministrazioni e nelle imprese pubbliche”, ma anche in quelle private che hanno missioni pubbliche. Tipo le Poste, le Ferrovie, o altre nel campo della sanità o del sociale. Una volta poi che gli stranieri abbiano perso il posto, dopo un anno saranno espulsi.
Il programma non si chiama “riconquista” come quello del suo concorrente Zemmour, ma ha lo stesso scopo: “modificare la composizione e l’identità del popolo francese”. Cioè una Francia etnicamente pura.
Il referendum sarà d’altronde il modo in cui Le Pen vuole governare.
Si chiamano Ric (Referendum di iniziativa cittadina), sono i pilastri della “rivoluzione referendaria”, un vecchio cavallo di battaglia del Fronte nazionale, si dice “per ridare la parola al popolo”, ma nella pratica è un modo per aggirare il Parlamento e il Consiglio costituzionale. Insomma, per governare senza intralci “democratici”.
Per il primo viaggio si vola direttamente a Bruxelles
Il suo primo viaggio all’estero? Non a Berlino, come da sempre fanno i presidenti francesi appena eletti per confermare l’alleanza franco-tedesca, ma a Bruxelles. E non per un abbraccio fraterno con le istituzioni europee, ma per dare un bel calcio “alla pretesa costruzione” comunitaria. La lista di richieste è lunga: rinegoziare l’accordo di Schengen per bloccare l’immigrazione; restrizione dell’accesso ai diritti sociali per i cittadini europei; riduzione unilaterale del 20% (cioè 5 miliardi di euro) della quota annuale francese al budget comunitario; instaurazione del primato del diritto francese su quello europeo.
Non tutto nello stesso giorno riuscirà a farlo, ma intanto lo annuncia.
Così come annuncia alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen e al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, che intende mettere il veto alle sanzioni economiche a Mosca in nome del potere di acquisto dei francesi e pretende una riorientazione politica dell’Unione finora troppo assoggettata agli Usa.
Ciascuno dei due leader la rinvia all’altro, perché, come le ha rinfacciato in un dibattito pubblico Enrico Letta, presidente dell’Istituto Jacques Delors nonché capo del Pd italiano, confonde spesso i due ruoli.
Stando a Bruxelles, Le Pen ne approfitta per recarsi anche alla sede della Nato dove annuncia ufficialmente che la Francia lascia il comando integrato.
Due piccioni con una fava per Mosieur Putin.
Il potere d’acquisto al centro del suo programma, un flop nella pratica
Tornata in patria, passa al secondo punto all’ordine del giorno, quello più importante del suo programma e che le ha fatto vincere le elezioni: contrastare l’impoverimento dei francesi innalzando il loro potere di acquisto. Punta così ad abbassare l’Iva (Tva in francese) al 5,5% per la benzina, il diesel, l’elettricità, il gas. Ma legge è contraria al diritto europeo che ammette un ribasso dell’Iva per i generi alimentari, in gas e elettricità, ma non per i carburanti.
Le Pen non ha altra scelta che chiedere di rivedere la direttiva europea, sebbene non l’aiuti il fatto che è anche la Presidente di turno dell’Unione fino al 30 giugno e che comunque ci vuole l’unanimità dei 27 per far passare la revisione della regola.
Cosa ardua in un momento in cui l’Europa punta sull’energia pulita, sarebbe un passo indietro enorme, non lo vorrà fare nessuno, tranne Orban forse.
In definitiva però questo abbassamento dell’Iva sui carburanti delude: porta a un risparmio di 28 euro al mese per famiglia secondo i calcoli degli esperti. Ne approfittano inoltre quelli che consumano di più. Cioè i più ricchi. Uno che ha una Ferrari ha la bella sorpresa di approfittare di due volte della riduzione alla pompa contro chi possiede una Renault, perché le auto sportive consumano il doppio di quelle familiari.
La tassa sul reddito per gli under 30? Un regalo ai giovani ricchi
Anche questa misura è contro “la dichiarazione dei diritti dell’Uomo” che garantisce “il principio di uguaglianza di fronte alle imposte”. E’ in base a questo principio per esempio che il Consiglio costituzionale aveva censurato nel 2012 l’imposta del 75% ai redditi superiori al 1 milione di euro.
Ma anche se passasse, pure questa misura sarebbe un regalo ai giovani ricchi: prendi Kyklian Mbappé, il giocatore del Paris-Saint-Germain, ha 23 anni e guadagna 26,5 milioni all’anno. Niente tasse per lui, ma tasse per un giovane operaio di 31 anni che guadagna il salario minimo.
Marine Le Pen diventa così la nuova presidente dei ricchi, come veniva chiamato una volta Macron.
Sul velo, invece, ha fatto un passo indietro. Dopo aver annunciato in campagna elettorale che avrebbe messo una multa a chi lo indossava in strada, nel quadro di una legge contro l’islamismo, messa alle strette anche dai suoi (il luogotenente Sebastien Chenu, le ha ricordato che è difficile far distinzione fra la nonna che lo porta da 70 anni e chi lo usa come bandiera islamista), ha annunciato che, “essendo un problema complesso”, lascia che se ne occupi il Parlamento. Ha compreso anche lei che una misura simile, mirando solo a una religione, l’Islam, sarebbe contraria alla libertà di culto garantita dalla legge sulla laicità.
L’incontro con l’unico alleato europeo: Viktor Orban
Qualche mese prima di essere eletta aveva promesso al presidente ungherese di “portargli il sostegno della Francia e del suo popolo per riorientare una Unione europea di cui “la brutalità ideologica attenta all’idea stessa di sovranità”. Eccola, quindi, a Budapest per farlo. Nel loro programma c’è l’”alleanza delle Nazioni” che deve sostituire l’Unione europea. È meno facile di quello che pensassero perché ora la Polonia, l’unico altro partener che hanno, si è sfilata perché non perdona loro di sostenere il vecchio e nuovo nemico, la Russia di Putin.
E poi Orban vorrà pure parlare del debito di 10,7 milioni di euro che Marine ha contratto con la banca ungherese MKB per fare campagna elettorale.
Comunque, per la conferenza stampa finale sono esposte le bandiere francese e ungherese, quella europea no.
Il disegno dei giornalisti di “Obs” finisce qui. Ma la partita no, quella finisce solo domani.
E la Francia, come l’Europa, si augura di festeggiare a Champs de Mars e non a Place de la Concorde.
View Comments (1)
Scusate ma, di quale francia state parlando? non credo di quella dei francesi che, ormai diventati una minoranza a casa loro hanno votato in massa la le pen.