Come sempre accade, le elezioni per il parlamento europeo si preparano con scarsa discussione delle politiche europee; in tutti i paesi vengono infatti percepite come un test politico per i governi e i partiti nazionali, nel quale questi possono prendere le misure del gradimento degli elettori, con conseguenze tutto sommato limitate sugli equilibri politici interni.
I successi delle politiche europee: dal Next Generation EU, all’asilo e all’immigrazione
Tuttavia, ciò non implica che le politiche europee siano irrilevanti; quel che è stato fatto e presumibilmente si farà su temi come l’immigrazione o le politiche industriali sono ben presenti agli occhi degli elettori. Da questo punto di vista va detto in primo luogo che nella legislatura che si chiude, il Consiglio europeo e la Commissione possono vantare successi rilevanti nelle politiche comuni. Il primo e maggior successo è rappresentato, mi pare, da Next Generation EU, un programma sostenuto da ingenti risorse (750 miliardi di euro) che ha consentito di evitare gli effetti recessivi della pandemia e che continua a sostenere la domanda soprattutto nei paesi meno dinamici (come il nostro). L’approvazione del programma – ottenuta rapidamente in un clima di forte solidarietà tra i paesi membri – ha contribuito non poco a rafforzare il sostegno all’Europa nell’opinione pubblica e nei parlamenti nazionali, dato anche che i flussi finanziari legati al programma continuano e continueranno fino al 2026.
Un risultato positivo, pur se con qualche complessità, riguarda anche le politiche per l’asilo e l’immigrazione, recentemente completato da vari provvedimenti legislativi del Consiglio e del Parlamento europeo che abbracciano tutte le fasi del processo di accoglienza – tra cui gli accertamenti dei migranti irregolari all’arrivo nella UE, le procedure per le domande di asilo, la determinazione dello stato membro competente, le modalità di gestione delle situazioni di crisi. Il sistema accresce la solidarietà tra gli stati membri, alleggerendo gli oneri sui paesi di primo arrivo ed è arricchito da strumenti di collaborazione tra l’Unione e i suoi paesi membri con i paesi da cui muovono i flussi migratori, tesi a diminuire le partenze e gli sbarchi. Le politiche comuni in materia restano ancora bloccate in questo ambito angusto, che non consente di aprire le porte all’immigrazione legale richiesta per rafforzare le competenze dell’UE nelle nuove tecnologie digitali, nelle quali l’UE resta drammaticamente arretrata.
Il sostegno dell’Ue all’Ucraina e la difesa comune
L’Unione, che non ha precise competenze in materia, si è anche impegnata incisivamente nel sostegno politico e finanziario dell’Ucraina aggredita dalla Russia. Pur se la cooperazione è stata guidata dalle decisioni della NATO, il mantenimento dell’unità d’azione dell’Unione è stato un risultato significativo, che potrebbe aprire la strada a un rafforzamento degli strumenti istituzionali di cooperazione nei campi della politica estera e di sicurezza. Naturalmente, stonano in questo le voci dell’Ungheria e della Slovacchia; un cambio di governo provvidenziale ha impedito che la frattura si estendesse alla Polonia, con conseguenze potenzialmente molto più gravi sulla coesione dell’Unione.
Peraltro, il tema dell’azione comune nel campo della difesa resta ancora largamente confinato a un molto parziale impegno per lo sviluppo comune di sistemi tecnologici e operativi e l’aumento degli acquisti comuni delle forniture militari. La decisione, assunta dal Consiglio europeo nel 2017, di rafforzare le funzioni dell’Agenzia europea per la difesa in questi campi non ha ancora portato a sviluppi concreti – ma lo strumento esiste e può riempirsi rapidamente di contenuti, se le sfide comuni in materia militare e di difesa continueranno a intensificarsi.
Lo sviluppo del mercato interno
Il cuore del processo di integrazione economica resta concentrato nello sviluppo del mercato interno, largamente realizzato nel comparto dei beni manufatti, ma ancora piuttosto arretrato nel campo dei servizi e, soprattutto, dei capitali. Il tema è stato posto al centro del rapporto Letta, recentemente presentato al Consiglio europeo. Il superamento in materia di un quadro regolamentare ancora troppo frammentato incontra seri ostacoli politici nella difesa dei “campioni nazionali” in campi cruciali quali le telecomunicazioni, l’energia e le grandi reti di trasporto, che finora i governi non hanno consentito di intaccare. Il risultato è non solo la dimensione ristretta del mercato dei capitali, ma la debolezza delle aziende nazionali che si vogliono proteggere, che in effetti non possono realizzare su basi solo nazionali quei guadagni di dimensione e di competitività necessari per competere con i grandi operatori americani, giapponesi e, sempre più, cinesi.
Il Green Deal
L’Unione europea ha sviluppato negli anni una politica ambientale estremamente ambiziosa, centrata sugli obbiettivi della neutralità climatica (entro il 2050) e dello sviluppo sostenibile. Tali obbiettivi si riflettono su tutte le politiche europee con crescente intensità. Nell’ultimo anno, i costi rilevanti delle politiche ambientali hanno portato a una vera e propria rivolta delle organizzazioni contadine contro il Green Deal, che non riescono a sopportarne i costi. Un effetto immediato è stato il ridimensionamento degli annunci ambientali nei programmi comunitari; una revisione dei tempi e dei contenuti dell’azione comune da parte della nuova Commissione in materia appare ora probabile, nonostante il forte impegno in materia del Parlamento europeo.
Il processo di allargamento
Alle fine dello scorso anno il Consiglio europeo ha deciso di avviare un nuovo processo di allargamento, teso essenzialmente a rafforzare le garanzie di sicurezza all’Ucraina attraverso l’ammissione all’Unione europea. La promessa all’Ucraina porta inevitabilmente con sé quella di allargamento a sei paesi balcanici, bloccati sulla porta da oltre vent’anni, nonché ad alcuni altri stati confinanti con la Russia (Georgia e Moldova); restano curiosamente ancora aperti, nonostante le dichiarazioni di chiusura moltiplicatesi negli ultimi due decenni, anche i negoziati per l’adesione all’Unione della Turchia.
Anche se il processo richiederà anni, forse decenni, un nuovo allargamento a tanti paesi pone seri problemi di funzionamento delle istituzioni dell’Unione, ancora vincolate al principio dell’unanimità in tutte le materie più squisitamente afferenti alla sovranità – come la difesa, i diritti politici, i meccanismi decisionali sull’architettura politico-istituzionale dell’Unione. La risposta a questo problema da parte della Germania, della Francia e di altri paesi “core” dell’Unione è vista nell’introduzione del voto a maggioranza in molte materie, peraltro ancora da identificare, oggi assoggettate all’unanimità. Tuttavia i paesi entrati più recentemente nell’Unione non ne vogliono sentir parlare, poiché comprendono che il voto a maggioranza finirebbe per consolidare il ruolo di guida di un nucleo più ristretto di paesi al centro dell’Unione (i paesi dell’euro?). Senza il loro consenso, però, tale cambiamento nei meccanismi decisionali non sarà possibile.
Dunque, con il nuovo allargamento l’Unione si sta incamminando verso una difficile strettoia, nella quale il suo funzionamento può essere compromesso, se si rispetteranno gli impegni assunti con i candidati all’ingresso, o la sua politica di sicurezza esterna può entrare in crisi, se gli impegni non potranno essere rispettati. Va aggiunto – e se ne parla troppo poco – che i candidati all’ingresso nell’Unione sono paesi con sistemi politici e, aggiungerei, valori molto distanti da quelli dei membri attuali. La potenziale moltiplicazione di membri politicamente più simili all’Ungheria e alla Slovacchia, o ancora più arretrati politicamente ed economicamente, può produrre nel tempo un completo stravolgimento degli obbiettivi politici e dei valori comuni dell’Unione, finendo per compromettere lo stesso obbiettivo dell’unione politica europea.
La strada futura dell’UE
Queste poche considerazioni indicano che la strada futura dell’Unione non manca di aspetti fortemente problematici, che purtroppo non hanno trovato molto posto nei dibattiti politici in vista delle elezioni del parlamento europeo. Ormai è chiaro che la discussione su questi temi potrà aprirsi solo dopo le elezioni – che peraltro non produrrà con ogni probabilità equilibri politici molto diversi da quelli attuali (seppure con un probabile aumento del peso delle destre che erano antisistema, ma che stanno imparando a muoversi con disinvoltura dentro il sistema attuale). Sarebbe importante che la coscienza di questi problemi diventasse intanto più chiara tra i partiti che si contendono il favore dell’elettorato.