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Elezioni Europee: gli operai hanno votato Fdl per il 39% e solo il 16% per il Pd. Un voto che fa riflettere sul mondo del lavoro

Come hanno votato gli operai alle elezioni europee? E il ceto medio? E gli autonomi? Ecco la mappa dei voti che contiene più di una sorpresa

Elezioni Europee: gli operai hanno votato Fdl per il 39% e solo il 16% per il Pd. Un voto che fa riflettere sul mondo del lavoro


Nelle elezioni del Parlamento europeo gli operai che hanno votato FdI (39%) sono stati più del doppio (16%) di quelli che hanno votato il Pd. Il risultato cambia di poco se si aggiungono i voti di AVS (3%). Ma l’aspetto ancor più significativo è ancora un altro. Tra gli operai i ‘’meloniani’’ ottengono ben 10 punti in più del loro dato totale, mentre i dem devono prendere atto di 8 punti in meno: sono 4 punti in meno per AVS. Sono tendenze queste che si riscontrano da tempo.

E non si tratta più di lavoratori lombardo-veneti affascinati dalla Lega (che quando incontravano Maurizio Landini negli autogrill gli esibivano la tessera della Cgil e gli offrivano il caffè). Il partito di Salvini conserva tra gli operai un punto (10%) in più del suo dato totale. Anche il M5S, che nel 2018 realizzò un vero e proprio sfondamento tra gli operai (un’ indagine compiuta, a suo tempo, dalla segreteria della Cgil stimò che almeno il 33% degli scritti aveva votato per Grillo), mantiene tre punti di vantaggio (13%) rispetto al dato complessivo. Se poi vogliamo allargarci mettendo insieme il campo che si autodefinisce progressista (al netto dei cespugli centristi che realizzano, sommati un 5% in flessione rispetto al dato totale, non sufficienti a pareggiare i risultati) vediamo che FdI, da solo, vanta comunque 7 punti in più (39% contro 32%). Volendo tirare le somme per la coalizione di maggioranza si arriva a 59 operai su 100 che hanno votato per il partiti di centro-destra (10 operai non disdegnano di votare FI). FdI resta il partito più votato anche da chi ha difficoltà economiche (24%) con sette punti più del Pd, ma ambedue in flessione (rispettivamente -5% e -7% del dato totale), mentre è il M5S a guadagnare 6 punti, mentre Fi e Lega guadagnano due punti a testa in più).

I voti del ceto medio e degli autonomi

Per completare il quadro del voto per condizione professionale segnaliamo che il ceto medio, secondo SWG, ha scelto in misura maggiore i due principali partiti, specialmente Fratelli d’Italia, a scapito delle formazioni di dimensione media (M5S, Lega, Forza Italia-Noi Moderati). Mentre il lavoro autonomo ha premiato soprattutto FdI e PD, ma la Lega in questa categoria ottiene un consenso più alto della propria media.

Per dovere d’ufficio il nostro interesse è rivolto al dato degli operai e delle persone in difficoltà economica, che in altre epoche sarebbe stato ritenuto ‘’contro natura’’. Le classi lavoratrici nella storia del Paese non si sono mai riconosciute in un solo partito, neanche nel Pci. Oltre a una tradizione socialista (che nel secondo dopoguerra non è riuscita a decollare anche quando i due partiti eredi delle storiche divisioni tra riformisti e massimalisti tentarono la riunificazione nel 1966) vi è sempre stata una radicata presenza cattolica nel mondo del lavoro protagonista nella vita pubblica e nel sindacato. Però, difficilmente un partito di sinistra sarebbe stato abbandonato dal voto operaio. E non è solo un fenomeno italiano, ma, in forme diverse di tutto il mondo occidentale.

Il fatto è che, almeno da noi, non si cercano neppure le spiegazioni di questo ‘’desencanto’’. Tanto più che in questa ‘’trahison des clercs’’ c’è qualche cosa di nuovo ed inedito. Votare FdI significa aver superato la pregiudiziale antifascista che resta il principale argomento di polemica dell’opposizione di sinistra contro Giorgia Meloni, della quale si studiano i movimenti del braccio, si pesano le parole con la speranza di individuare una ricaduta nell’antica fede prima ancora che giudicare le azioni politiche del suo governo.

In un’intervista televisiva è stata chiesta l’opinione di Maurizio Landini su questo fenomeno sempre più evidente: la classe operaia non disdegna di votare la destra/destra. Il leader della Cgil, con una certa prontezza di spirito, ha gettato la palla nella tribuna dell’astensionismo che tra gli operai e i soggetti in difficoltà economica ha raggiunto il 58% con un incremento di 5 punti rispetto al totale. Si direbbe un’ altra secessione sull’Aventino, quando la plebe romana si ritirò su uno dei colli fatali per protesta contro i patrizi, dimostrando così che, in mancanza delle loro attività, Roma sarebbe stata paralizzata.

Sinistra popolare delusa

La sinistra popolare è delusa della politica e di chi li ha rappresentati fino ad ora a tal punto di rifiutarsi di votarli e di rifugiarsi nell’astensionismo? Eppure una chance a sinistra del Pd esiste, ma non convince più di tanto il mondo del lavoro: si vedano i risultati di AVS e quelle percentuali da prefisso telefonico che ottengono nelle elezioni politiche i partiti che mettono insieme il sovranismo, il populismo e un radicalismo di sinistra combinato con un pacifismo orientato verso Mosca. Certo i quattro referendum promossi dalla Cgil dovrebbero, nelle intenzioni di Landini, recuperare un po’ di smalto dei vecchi tempi. E’ la solita storia delle due anime della sinistra, implacabili avversarie tra di loro perché portatrici di una visione differente del progresso sociale. Con i suoi referendum Landini non vuole mettere in difficoltà il governo (FdI ha sempre votato contro alle norme che la Cgil vuole abrogare), ma seppellire a sinistra anche la memoria di un segretario del Pd e presidente del consiglio di nome Matteo Renzi. Sembra una riedizione della sfida di Geremy Corbyn contro Tony Blair. Sappiamo poi come è finita.

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