I dati che emergono dal voto europeo sono essenzialmente due. Il primo è che solo in due dei grandi paesi dell’Unione vincono i partiti al governo: in Italia, con Matteo Renzi a capo dell’esecutivo da 80 giorni, è stato un trionfo; in Germania con Angela Merkel alla guida del paese da oltre un decennio, una conferma. Il secondo è che avanzano le forze euroscettiche, di destra – come le Front National di Marine Le Pen che in Francia è diventato il primo partito – e di sinistra – come Syriza di Alexis Tsipras che si aggiudica in Grecia il 26,7% dei consensi, quattro punti in più del partito del premier Samaras. Un risultato simile è stato ottenuto anche in Gran Bretagna, dove gli euroscettici dell’Ukip di Nigel Farage hanno raggiunto il 27,5%.
Che conseguenze potranno avere per il futuro dell’Unione la sconfitta della maggior parte dei partiti al governo e il rafforzamento degli euroscettici? Sono in molti a sostenere che la politica economica europea dovrà necessariamente cambiare passo, dando maggiore spazio alla crescita. Anche perché, nella stessa Germania, fautrice della politica del rigore, le urne hanno consegnato un quadro elettorale assai diverso da quello delineato solo pochi mesi fa dalle politiche del settembre 2013.
Le novità del voto tedesco sono state essenzialmente tre. In primo luogo, l’Unione, formata dalla Cdu, il partito della Merkel, e la Csu, l’alleato bavarese, resta la prima forza tedesca con il 35,4% dei consensi, ma, rispetto alle precedenti elezioni, perde due punti e mezzo, a causa del crollo (oltre l’8%) registrato tra le fila dei cristiano sociali che hanno condotto una campagna elettorale euroscettica e poco convincente.
I socialdemocratici ottengono, invece, il miglior risultato di sempre: con 6,5 punti percentuali in più rispetto alle precedenti elezioni, l’Spd si attesta al 27,3%. Un successo dell’intero partito ma, soprattutto personale di Martin Schultz, candidato alla presidenza della Commissione europea per la famiglia dei socialisti. Schultz ha vinto anche facendo ricorso a trovate del tipo “solo votando la Spd si può mandare un tedesco alla Commissione”. Un eccesso di nazionalismo, subito ritratto, ma che deve aver fatto presa tra quella parte di elettorato che ancora fatica a digerire l’assenza d’istituzioni europee a guida tedesca e, soprattutto, mal tollera una banca centrale europea in mano ad un italiano.
Infine Alternative für Deutschland, la nuova formazione di Bern Lucke, – professore di economia e rigoroso membro della Chiesa evangelica (niente TV, niente automobile, niente birra in pubblico) -, si attesta al 7%. Un risultato considerato molto soddisfacente per una forza politica creata poco meno di un anno fa con l’obbiettivo di non far più pagare ai contribuenti tedeschi “il conto della bella vita dei paesi del Sud”.
Alla luce di questo nuovo assetto politico in Germania, che cambiamenti ci possiamo aspettare sui temi europei? In realtà pochi. Vediamo il perché.
Certo, la Merkel dovrà scendere a maggiori compromessi con i suoi alleati e rivedere i ruoli di governo, che fino ad ora avevano assegnato ai socialdemocratici la politica interna (come l’introduzione del salario minimo invisa alla Cdu) e ai cristiano democratici la politica europea. Forte del consenso elettorale ottenuto, l’Spd vorrà avere maggiore spazio in campo europeo per sostenere la sua visione di una Europa “più solidale”. Nel contempo, però, la cancelliera sarà costretta a mediare per arginare l’avanzata dell’Afd che, invece, di solidarietà ai paesi in difficoltà proprio non ne vuole più sentire parlare.
Pertanto, l’approccio di Berlino agli aiuti europei difficilmente potrà cambiare rispetto a quello della “solidarietà condizionata alla responsabilità”, in altre parole, quello dei “compiti a casa”. Da questo punto di vista, Angela Merkel potrà contare sull’appoggio del presidente della Bce, che negli anni si è rivelato un ottimo alleato. D’altro canto, anche l’Spd è ben consapevole che gli elettori hanno premiato l’apertura del partito verso un “Europa della crescita” ma condannerebbero pesantemente la costruzione di un “Europa degli assegni in bianco”, la cosidetta Transferunion.
Il terzo alleato della Merkel sarà Jean-Claude Juncker. Il partito dei popolari è stato quello più votato e, così, con buone probabilità, l’ex-premier lussemburghese diventerà il nuovo presidente della Commissione europea, esattamente come auspicato dalla cancelliera tedesca. Ad aprile, in un’intervista, Junker dichiarava che “non si può produrre crescita duratura sulle rovine di un debito pubblico che si espande costantemente”.