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Elezioni Brasile: Bolsonaro favorito, onda nera sul Sudamerica

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Alle 19 brasiliane di domenica 28 ottobre, le 23 in Italia (in virtù del ritorno dell’ora solare il fuso orario si riduce a 4 ore), il dado sarà tratto. E probabilmente lunedì il Brasile si risveglierà con un presidente di estrema destra, legato alla Chiesa evangelica e non così sgradito ai mercati finanziari, che anzi già ne festeggiarono la vittoria al primo turno, salvo poi freddare gli entusiasmi dopo alcuni annunci di Jair Bolsonaro in tema di politica economica, durante le tre settimane di avvicinamento al ballottaggio. I sondaggi sono unanimi e non hanno ceduto nemmeno per un attimo: il favorito è lui, il candidato non solo populista ma anche apertamente razzista, omofobo, misogino e quant’altro basterebbe per renderlo inviso alla maggior parte della popolazione, che invece dovrebbe premiarlo a discapito dell’ex sindaco di San Paolo e delfino di Lula, Fernando Haddad, esponente di quel Partito dei Lavoratori che in Brasile ha governato – tra Lula e Dilma Rousseff – per oltre un decennio, ma che evidentemente non convince più i 142 milioni di brasiliani che domenica 28 ottobre si recheranno (obbligatoriamente) alle urne. A parte lo zoccolo duro affezionato a Lula nel Nord-Est, l’area più povera del Paese che ancora ricorda con gratitudine le politiche sociali espansive del PT, per il resto avanza inesorabile l’onda bolsonariana: 56%-44%, dicono i sondaggi del venerdì, praticamente quelli definitivi anche se in Brasile è consentito pubblicare sondaggi fino a 24 ore prima del voto.

E’ soprattutto il Sud del Brasile a sostenere Bolsonaro: popolazione bianca, benestante, imprenditori agricoli e ceto medio che non vedono l’ora di voltare pagina dopo gli scandali di Lava Jato, che hanno segnato suo malgrado l’esperienza governativa di Lula, sino a costargli il carcere dopo una condanna a 12 anni per corruzione. In confronto al terremoto giudiziario che ha sconvolto il Brasile negli ultimi anni, facendolo oltretutto piombare in recessione dopo anni di grande crescita, sono davvero roba da poco gli scandali – o presunti tali – che sembravano poter far recuperare qualche punto ad Haddad. L’ultimo in ordine temporale è il sex-gate di Joao Doria, candidato governatore di San Paolo, che sostiene Bolsonaro e che è stato pizzicato in un video in cui partecipa a un’orgia con delle escort. In precedenza era spuntata una foto di uno dei figli di Bolsonaro, Eduardo, eletto in Parlamento e immortalato con l’ex guru di Trump (e vicino a una certa destra europea) Steve Bannon, il che ha gettato un’ombra sulla indipendenza politica dell’ex capitano dell’esercito e che forse ha che fare con lo scandalo rivelato dalla Folha di San Paolo, secondo la quale lo staff di Bolsonaro starebbe da mesi “spammando” fake news tramite Whatsapp (che in Brasile viene usato da 120 milioni di persone). Un po’ più seria, ma forse non abbastanza da far cambiare idea agli elettori, è stata la vicenda di Paulo Guedes, il guru economico di Bolsonaro (indicato come il futuro ministro delle Finanze o governatore della Banca centrale), finito al centro di un’indagine per speculazioni sui fondi pensionistici statali.

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Niente però di che scalfire l’ascesa del reazionario Bolsonaro, che avrebbe anche qualcosa di paradossale, in un Paese dove i bianchi sono, seppur di poco, in minoranza rispetto a neri e meticci (48%), dove è di origine mista il 90% della popolazione e in cui i poveri sono stati ammessi a votare solo dalla Costituzione del 1988, che ha anche abolito la schiavitù, trent’anni fa appena. Fratture sociali che le politiche progressiste di Lula erano riuscite almeno in parte a ricomporre ma che sono state fermate, secondo molti osservatori internazionali, dalle condizioni discutibili della destituzione di Dilma Rousseff nel 2016 e dell’esclusione dello stesso Lula quest’anno, prima condannato nonostante si sia sempre proclamato innocente, poi impossibilitato a candidarsi dalla Corte Suprema perché detenuto nel carcere di Curitiba. Per quella fascia ancora molto ampia di elettorato, la sconfitta del PT avrebbe conseguenze drammatiche: oltre che militarista, Bolsonaro è infatti anche antisociale e ostile ai poveri, come dimostra il suo programma economico ultraliberista, seppur parzialmente ridimensionato nelle ultime settimane, quando per calcoli propagandistici il candidato di estrema destra ha detto che non forzerà la mano sulla riforma delle pensioni e ha frenato su alcune privatizzazioni.

Dal canto suo, il socialista Haddad ha alcune carte da giocarsi: professore universitario, la sua figura non è stata sporcata da Lava Jato e per quanto sia un fedelissimo di Lula, sta provando a convincere l’elettorato più moderato, che non gradisce troppo le tendenze “venezuelane” dell’ex sindacalista. Da sindaco di San Paolo Haddad non ha lasciato un ricordo bellissimo, ma nemmeno così negativo. Potrà inoltre contare sull’endorsement di tutti i candidati dell’area di sinistra sconfitti al primo turno, anche se l’unico a portare in dote una quantità interessante di potenziali voti è Ciro Gomes, che ha chiuso col 12,5%. L’ambientalista Marina Silva, che verso agosto era indicata come possibile outsider (e che secondo i sondaggi, in un eventuale ballottaggio avrebbe sconfitto Bolsonaro), è stata invece vittima di una polarizzazione del consenso senza precedenti e ha portato a casa appena l’1%. Se la probabile vittoria di Bolsonaro ricorderebbe l’impresa di Trump, che a sorpresa sconfisse Hillary Clinton, Haddad può invece agganciarsi al precedente delle elezioni francesi, quando piuttosto che votare per Marine Le Pen (che tra l’altro, nei giorni scorsi, ha persino lei definito sgradevoli ed eccessivi i propositi di “Bolso”), gli elettori scelsero Macron. Come si orienteranno i brasiliani?

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