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Elezioni Argentina: l’ultraliberista Milei non sfonda, il peronista Massa fa meglio. Il 19 novembre il ballottaggio

Al primo turno delle elezioni presidenziali il ministro peronista dell’Economia Massa raccoglie il 36% contro il 30% dell’ultraliberista Milei. Ma nel ballottaggio a chi andranno i voti della candidata della destra moderata Bullrich che ha preso il 24%?

Elezioni Argentina: l’ultraliberista Milei non sfonda, il peronista Massa fa meglio. Il 19 novembre il ballottaggio

Il peronismo è ancora vivo. Alla fine ce l’ha fatta, il ministro dell’Economia uscente, Sergio Massa, ad arginare l’onda populista che sembrava dover vincere a mani basse il primo turno delle elezioni presidenziali in Argentina, con il candidato ultra-liberista Javier Milei. Non è andata così. Tutto si deciderà nel ballottaggio del 19 novembre, ma a questo punto sarà il candidato del campo largo di centrosinistra a presentarsi come frontrunner, forte del circa 36% ottenuto ieri, meglio del 30% di Milei che sarà dunque lo sfidante al secondo turno e del 24% della candidata della destra moderata Patricia Bullrich. Se la matematica non è un’opinione, dunque, a Massa servirà comunque un’impresa tra un mese, considerando che se tutti i voti per Bullrich dovessero convergere su Milei, sarebbe quest’ultimo a vincere. Ma non è detto che andrà così, anzi: il voto di ieri dimostra che gli elettori argentini hanno annusato il pericolo di una deriva populista, che pure sembrava praticamente certa stando ai sondaggi della vigilia, che davano Milei addirittura vicino al 40%.

Eppure la giornata non era iniziata benissimo per i peronisti: prima un allarme bomba alla Casa Rosada, sede della presidenza, poi il dato dell’affluenza al minimo da 40 anni (74%, e in Argentina votare è obbligatorio) che aveva lasciato presagire, come spesso accade, una sonora sconfitta per il centrosinistra. Ma già immediatamente dopo la chiusura delle urne, mentre nel comitato di Milei saliva la tensione tra malori e insulti ai giornalisti, nel bunker di Massa iniziava a trapelare un certo ottimismo, confermato poi dai dati definitivi. La vittoria – provvisoria – dell’attuale ministro dell’Economia, fautore dell’austerity nel pieno di una crisi economica senza precedenti, con l’inflazione al 138% a settembre, il tasso di povertà e il cambio col dollaro oltre i 1.000 pesos sul mercato parallelo (quello più utilizzato), dimostra anche che una proposta moderata, se non addirittura una “terza via” come la definiscono in Sudamerica, è ancora in grado di fornire risposte agli elettori.

A perdere infatti in questa tornata è la sinistra radicale, mentre la destra, sommando i voti dei due candidati, è a sua volta andata molto bene, superando teoricamente il 50% dei voti. Alla fine, per i peronisti, ha pagato la scelta dell’ex presidenta Cristina Kirchner di farsi da parte, tenendo conto del fatto che su di lei pende una condanna per corruzione, e anche di scartare la ricandidatura dell’impopolarissimo presidente Alberto Fernandez, o ancora di optare per un candidato dell’ala più “dura e pura” della coalizione Unione per la Patria. Massa è infatti uomo dell’establishment, di orientamento centrista e non più così vicino a Cristina Kirchner, di cui pure fu capo di gabinetto tra il 2008 e il 2009, dopo essere stato sindaco di Tigre. In questa tornata, per inciso, si votava anche per il governatore di Buenos Aires, ed è stato confermato l’uscente Axel Kicillof, peronista pure lui ed ex ministro dell’Economia nel 2013-2015, sempre con Cristina presidente. Risultato significativo il suo, perché ha trainato il peronismo nella decisiva provincia della Capitale.

In attesa del ballottaggio del 19 novembre tra Massa e Milei, ora l’attenzione è tutta sulla reazione dei mercati. Nel periodo pre-elettorale la tendenza della Borsa di Buenos Aires è stata rialzista, trascinata però dalla speculazione: in realtà, il falco Milei non convince nemmeno la comunità finanziaria internazionale, a cui interessa soprattutto che l’Argentina riesca ad onorare il debito monstre che ha con l’Fmi e che riprenda rapidamente la strada della crescita e della stabilità monetaria. Prima del voto invece il cambio col dollaro, sui timori della “dollarizzazione” totale proposta da Milei, è schizzato ai massimi di sempre e l’economia di tutti i giorni, cioè banalmente la disponibilità di merci sugli scaffali dei supermercati, si è di fatto fermata in attesa di vederci più chiaro dopo l’esito del voto.

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