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Elettrodomestici in crisi tra chiusure, dumping e lavatrici su misura: l’Europa può risolvere il “dramma dei consumi”?

Il calo delle vendite di elettrodomestici in Europa, amplificato dai crescenti costi energetici e dalle politiche pro-import, mette a rischio fabbriche e occupazione. Associazioni e sindacati chiedono un dialogo con le istituzioni per salvaguardare l’industria e i posti di lavoro

Elettrodomestici in crisi tra chiusure, dumping e lavatrici su misura: l’Europa può risolvere il “dramma dei consumi”?

Dopo la pesantissima caduta delle vendite di grandi e piccoli elettrodomestici (-16% primi mesi dell’anno e -20 nel 2023) l’industria europea affonda tra chiusure, dumping extra-europeo, promozioni aggressive nel retail, anche a causa di alcune decisioni prese dalla Commissione europea. È allerta in tutta Europa, in particolare nei Paesi del Sud e dell’Est della Ue, che mantengono una solida struttura manifatturiera, riguardo alla risposta dell’Unione al deterioramento della crisi di comparti strategici del sistema casa, dagli elettrodomestici ai prodotti in metallo fino ai casalinghi. Peggioramento delle vendite che, come abbiamo rivelato, avrà drammatici riflessi su occupazione e fabbriche. Anche perché l’incremento ormai costante dei costi energetici risulta per le aziende europee insostenibile: al posto del gas russo a buon mercato, si deve ricorrere a fonti più costose come l’olio e il gas delle piattaforme norvegesi e i rifornimenti dagli Stati Uniti. Era inevitabile, a fronte di queste urgenze, conoscere il parere dei diretti interessati come Applia Europe, l’associazione che riunisce le industrie degli elettrodomestici operanti in Europa, e i sindacati. Applia Europe, per inciso, conta tra le aziende iscritte anche grandi marchi cinesi con stabilimenti produttivi in Europa.

Elettrodomestici Made in Europe: favorito l’import asiatico?

Una serie di provvedimenti dalle diverse Commissioni di Bruxelles, spesso influenzate dai Paesi del Nord Europa che non hanno una manifattura di rilievo, ha indubbiamente favorito l’import asiatico a basso prezzo anche per le pressanti richieste delle multinazionali della distribuzione europee e del Nord Europa (che si oppongono a qualsiasi controllo in entrata). Di conseguenza, le fabbriche europee si trovano a dover affrontare vincoli burocratici che gravano sui costi e determinano una progressiva perdita di quote di mercato e competitività.

Lavatrici su ordinazione e su misura? Un rischio per l’Europa

Non mancano le evidenze a sostegno di queste affermazioni. La più recente è la dichiarazione ufficiale del belga Kurt Vandenberghe, dg della Commissione Clima,  rivelatrice di una mentalità postindustriale e regressiva: “L’Europa deve passare dalla produzione di massa alla personalizzazione di massa, come sta accadendo nel settore farmaceutico”. Secondo il dg potremmo avere farmaci realizzati su misura per le condizioni di salute di ogni paziente. Questo approccio potrebbe portare a un’industria che produce lavatrici su ordinazione, in piccole serie, basate su preferenze di nicchia. Che non si sa quali siano e saranno. Un approccio impossibile da sostenere economicamente prima ancora che tecnicamente. Un chiaro esempio della difficile situazione del made in Europe è rappresentato dal crollo dei prezzi dell’entry level: una catena nazionale di prodotti per la casa, rifornita da un importatore-distributore lombardo, vende per esempio lavatrici cinesi no brand a 85 euro, che spesso non offrono performance soddisfacenti.

Come le politiche green colpiscono l’acciaio europeo

“Un esempio di questo atteggiamento è stato il disastroso allagamento che ha sommerso una parte della Polonia – ha riferito un collega polacco – e che è stato provocato dalla mancata esecuzione dei necessari interventi di protezione per l’opposizione dei Verdi. Che hanno ispirato molti dei rigidi provvedimenti europei in tema di decarbonizzazione. E voler mantenere gli utopistici obiettivi climatici di questo piano penalizza soltanto l‘industria europea. Per inciso penalizza anche quelle multinazionali cinesi e turche che hanno fabbriche – quelle vere non quelle che assemblano – nella Ue 27. Uno degli obiettivi, per esempio, riguarda la lavorazione di materiali critici con il necessario passaggio all’acciaio verde”.

Il Digital Product Passport: sospeso ma non cambiato

Il Digital Product Passport (Dpp) che mira a raggiungere l’economia circolare nell’Ue entro il 2040, impone alle aziende del settore di fornire la tracciatura totale e dettagliata della progettazione e della produzione dei tools di acciaio importati, comprese le informazioni sull’intera logistica e sui fornitori di componenti del produttore di origine (cosa impossibile). Tuttavia, le importazioni di prodotti finiti, come gli elettrodomestici, restano senza controlli adeguati sulla sicurezza, sull’eco-compatibilità e sulla tracciabilità socio-economica. Per comprendere la complessità di una simile normazione, è utile considerare che i produttori di mobili sarebbero tenuti a fornire numerose informazioni dettagliate, inclusa la specie arborea utilizzata per il pannello, la data di espianto e la località di provenienza, tra le altre.

Il Dpp comporta un onere burocratico significativo per le aziende che operano in Europa. La reazione delle aziende e dei partiti non si è fatta attendere. “Applia Europe sottolinea l’importanza di un approccio equilibrato che tenga conto delle esigenze dell’industria. In questo caso anche la Commissione europea – ha dichiarato Paolo Falcioni, direttore generale di Applia – ha compreso il grave problema ed ha proposto un ritardo nella applicazione dei requisiti. La Commissione ha riconosciuto il significativo ritardo e ha suggerito di posticipare l’implementazione dei requisiti”. Peccato però che la Commissione ha soltanto sospeso l’applicazione senza modificare l’elenco dei requisiti.

Necessità di un maggiore coinvolgimento dell’industria

Questi stop and go di molti provvedimenti delle Commissioni potrebbero essere evitati. “Applia Europe chiede che le istituzioni europee consultino regolarmente l’industria prima di emanare nuove regolamentazioni, in modo da evitare costi aggiuntivi, garantire la fattibilità delle misure proposte e l’allineamento con gli obiettivi prefissati dall’Europa. Idealmente il ricorso a nuove regolamentazioni dovrebbe essere chirurgicamente dosato in modo da non creare stress ulteriori su un settore già duramente provato. A questo proposito è fondamentale considerare i costi energetici, che in Europa sono superiori a quelli di altre regioni, come gli Stati Uniti, per garantire la competitività dell’industria europea. Applia Europe ritiene che un dialogo costruttivo tra istituzioni europee e industria sia essenziale per affrontare le sfide attuali e garantire un futuro sostenibile al settore degli elettrodomestici in Europa”.

Che cosa dicono i sindacati

“Il Cdm del 1° maggio, su proposta del ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso – ha dichiarato a FIRSTonline Massimiliano Nobis, segretario nazionale di Fim Cisl – aveva deciso di esercitare il Golden Power sulla fusione tra la Whirlpool Emea e la turca Arcelik per tutelare il lavoro degli oltre 4.600 dipendenti dei quattro stabilimenti in Lombardia, Marche e Toscana, ponendo dei vincoli in termini di salvaguardia del patrimonio tecnologico e dei livelli occupazionali. Dalle ultime notizie che stanno arrivando sul crollo dei consumi e delle vendite dobbiamo prendere atto che la situazione è molto grave, più di quanto si temeva”.

Gianluca Ficco, segretario nazionale della Uil metalmeccanici, commenta così i gravi rischi per il settore: “Siamo di fronte ad uno scenario che dobbiamo scongiurare, con il nostro settore preso in una tenaglia tra alti costi e bassi consumi. Per questo abbiamo chiesto al governo un tavolo per il comparto degli elettrodomestici, per affrontare i problemi degli insostenibili costi energetici e della competitività dell’industria. E per la tutela dei lavoratori chiediamo il rafforzamento degli ammortizzatori sociali che hanno alti costi di derivazione dal Jobs Act che ha indebolito il nostro sistema di sostegno, a danno sia dei lavoratori che delle imprese. Sono così diventati più costosi e più brevi. Noi crediamo che i maggiori oneri dovrebbero essere addebitati a quelle aziende che licenziano mentre le altre andrebbero sostenute e premiate. Ma vorrei anche sottolineare che la politica europea cosiddetta green dovrebbe tornare ad essere realistica per non distruggere il nostro sistema industriale, senza compromettere la salvaguarda del pianeta”.

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