Non c’è pace per i mercati. Da un anno a questa parte, la congiuntura politico-economica internazionale ha creato e continua a creare una profonda incertezza e una forte volatilità che si ripercuote fortemente sull’andamento della finanza globale. Dalla Cina al petrolio, passando per la Brexit e per l’emergenza terrorismo, la “tranquillità” sembra essere ormai un lontano ricordo. A pagare il prezzo più alto di quanto sta accadendo sono le Borse, divenute le prede predilette di speculazioni ribassiste
Volgendo l’occhio a casa nostra, non è difficile vedere l’effetto che le vicissitudini sopra elencate hanno avuto sull’andamento di Piazza Affari. Nel corso dell’ultimo anno l’indice Ftse Mib, dove 15 titoli su 40 sono finanziari, ha ceduto il 23,7%. A pesare sulla performance dell’indice milanese, oltre all’incertezza globale, c’è anche il contesto politico italiano, caratterizzato negli ultimi mesi dall’incognita referendum costituzionale, il cui risultato potrebbe avere forti ripercussioni sulla crescita e sul futuro economico-politico del Paese. Non a caso, nel suo ultimo report Morgan Stanley ha deciso di rimanere cauta sui suoi “consigli d’acquisto”, ritenendo che l’esito della consultazione referendaria potrebbe impattare sulla fiducia generale nell’Italia e sulle scelte degli investitori domestici ed esteri.
Le prime conseguenze dell’effetto referendum sulla Borsa sono sotto gli occhi di tutti: Unicredit e Monte dei Paschi hanno deciso di rinviare i loro aumenti di capitale al 2017, mentre il Tesoro ha scelto di posticipare il collocamento della seconda tranche (pari al 29,7% del capitale) di Poste Italiane.
I motivi non sono difficili da comprendere. Secondo Milano Finanza, per esempio, la ricapitalizzazione di Mps lanciata prima del referendum potrebbe raccogliere sul mercato al massimo 2 miliardi di euro sui 5 previsti e garanti. Nel caso in cui invece al referendum costituzionale previsto per fine novembre o inizio dicembre vincesse il Sì, gli esperti di MF ritengono che la stessa operazione possa essere interamente coperta.
Ma a subire, in positivo e in negativo, gli effetti derivanti dal risultato della consultazione referendaria potrebbero non essere solo le banche o Poste. Il calendario finanziario dei prossimi mesi è infatti denso di appuntamenti importanti, il cui risultato potrebbe essere influenzato dall’andamento (più o meno volatile) dei mercati, determinando anche le scelte delle società. Un esempio potrebbe essere la quotazione di Italgas, prevista entro la fine del 2016. In base alle indiscrezioni, il gruppo guidato da Paolo Gallo potrebbe sbarcare su Piazza Affari a metà novembre, proprio alla vigilia del referendum che potrebbe causare più di un turbamento al listino milanese. Stessa sorte per Denora o per la finanziaria Farmafactoring che stanno pianificando l’approdo in Borsa, a condizione che il mercato non sia caratterizzato da “eccessive turbolenze”.
Da tenere d’occhio anche il settore del private equity, dove a farla da padrone è la possibile vendita di Esselunga da parte di Bernardo Caprotti nell’ambito di un’operazione il cui valore potrebbe assestarsi tra i quattro e i sei miliardi di euro,
Insomma, dal punto di vista finanziario si prospetta un autunno denso di novità e di incognite sulle quali il contesto politico nazionale potrebbe avere un profondo, profondissimo impatto.